Topic: giovani

I nostri giovani sono giovani troppo a lungo

Le politiche migliori per i giovani sono quelle che li aiutano a smettere di essere giovani. In Italia abbiamo pochi giovani, come ben noto, che però rimangono giovani troppo a lungo. Arrivare con successo alla fine degli studi, trovare lavoro, sostenere i costi di una abitazione (accedere a un mutuo), avviare una propria attività, più che nel resto d’Europa dipende dalle risorse della famiglia di origine e meno da politiche che si rivolgono direttamente ad essi come cittadini in senso proprio. I giovani italiani si trovano, così, ad essere maggiormente e più a lungo a carico della ricchezza privata accumulata in passato dai genitori, anziché messi nella condizione di generare nuova ricchezza e rafforzare il benessere collettivo.

Servizio Civile. Risorsa preziosa ma i ragazzi vanno sostenuti

Per generare benessere con le nuove generazioni nelle società moderne avanzate è necessario rispondere a tre cruciali domande. La prima è: chi sono i giovani e come si differenziano rispetto alle generazioni precedenti. In secondo luogo ci si deve chiedere come sta cambiando la realtà attorno a loro e quali diverse sfide pone rispetto al passato. Infine è necessario comprendere come i giovani interpretano tali sfide, con quali aspettative e in funzione di quali risultati desiderati. Si tratta di tre domande aperte con risposte che vanno continuamente rimesse in discussione in un processo di costante aggiornamento e sperimentazione. Nessun processo che assegni alle nuove generazioni un ruolo da protagonista è possibile senza riconoscere la specifica novità di cui sono portatrici e senza strumenti efficaci che consentano a tale novità di farsi valore (per sé e per gli altri).

Oltre le competenze. Come valorizzare i giovani all’interno delle imprese

Il disallineamento tra domanda e offerta di lavoro è un tema di crescente rilevanza nelle economie mature avanzate. A sentirlo di più sono i paesi e i territori con sistema produttivo più dinamico, più aperti al cambiamento e all’innovazione, con maggior potenziale di sviluppo. In tali economie alta è la domanda di energie ed intelligenze nuove che alimentino i processi di crescita, in particolare del capitale umano delle nuove generazioni da integrare con l’esperienza dei lavoratori più maturi. Ma a sentire ancor più il disallineamento sono e saranno le economie povere di tale capitale umano. Ovvero carenti di giovani ben preparati e qualificati, con competenze utili oggi e domani. Soprattutto se non dotate di sistemi esperti in grado di orientare chi entra nel mondo del lavoro, riqualificare dove necessario, favorire, in definitiva, la possibilità che domanda e offerta si incontrino al punto più alto tra ciò di cui le aziende hanno bisogno e ciò che i nuovi entranti possono portare. L’Italia, come ben noto, è uno dei paesi in Europa che più soffre di queste carenze. Con conseguente alto numero di Neet (giovani che non studiano e non lavorano) e crescente difficoltà del sistema produttivo di alimentare i propri processi di crescita con personale qualificato.

La priorità di un Paese che non forma né assume i suoi pochissimi figli

L’Italia ha conquistato nello scenario mondiale un posto di punta nella transizione demografica quando, nella prima metà degli anni Novanta, è diventata il primo paese a trovarsi con le persone in età da pensione in quantità superiore a quelle in età scolastica. Nel dibattito pubblico e nell’agenda politica la questione demografica è entrata soprattutto come preoccupazione per il processo di invecchiamento della popolazione.