Topic: popolazione, risorse e sviluppo

Le nuove sfide demografiche sono vincenti investendo su Welfare, natalità e Africa

Il secolo, o meglio i cento anni, che vanno dal 1950 al 2050 verranno ricordati come il periodo con maggior intensità della crescita della presenza umana sulla Terra. Difficilmente in futuro si assisterà ad una esplosione demografica analoga, se non nella prospettiva di espandere la presenza in altri pianeti (ma a parte qualche viaggio temporaneo di cittadini privati nello spazio, siamo ancora lontani da tale scenario). Per quanto riguarda l’espansione della nostra specie sul pianeta madre, è impressionante notare come dalla metà del XX secolo alla metà del XXI la popolazione risulti moltiplicata per quattro: da 2,5 miliardi ai quasi 10 miliardi previsti. Il tempo in cui viviamo si trova ancora all’interno di questa finestra del tutto unica ed eccezionale. E’ quindi naturale osservarla con stupore misto a timore.

Serve investire sui figli ora

Il primo luglio è entrata in vigore la misura-ponte dell’Assegno unico e universale per i figli, che anticipa l’avvio a regime fissato per il primo gennaio 2022. Si tratta di una novità importante per le politiche familiari italiane. L’assegno va finalmente nella direzione di superare la debolezza, la disomogeneità e la frammentazione delle misure di sostegno economico alla genitorialità del passato (in questo senso è “unico”). Alla base c’è anche un importante cambiamento culturale che mette al centro il bambino stesso, con impegno del paese a investire in modo solido sul suo benessere e il suo sviluppo umano – qualsiasi siano le caratteristiche dei genitori – dalla nascita fino alla maggiore età (in questo spirito è “universale”).

Alla misura temporanea, che si chiuderà il 31 dicembre 2021, sono destinati tre miliardi aggiuntivi, che hanno soprattutto l’obiettivo di includere chi finora non beneficiava dell’assegno al nucleo familiare: figli di lavoratori autonomi, liberi professionisti, incapienti (quantificabili nel complesso in 1,8 milioni di famiglie).

Le misure di sostegno alle famiglie con figli camminano su due principali gambe. La prima è quella dei servizi di conciliazione tra tempi di vita e lavoro (come i nidi e i congedi), la seconda è quella del supporto economico alle responsabilità di cura e crescita. L’arrivo di un figlio può, infatti, sia aumentare la complicazione dell’organizzazione familiare, con ripercussioni anche nella dimensione occupazionale e professionale, sia aumentare il disagio economico e il rischio di povertà. La carenza di strumenti adeguati su tali due fronti porta a rinunciare a realizzare pienamente la fecondità desiderata. La presenza di politiche efficaci, al contrario, mette le coppie nella condizione di poter valutare più positivamente la possibilità di avere un ulteriore figlio.

L’AUUF va quindi inteso come parte importante di un sistema più ampio (solido, integrato e coerente) di misure che consentono alle scelte delle coppie di essere realizzate in un contesto di benessere relazionale ed economico adeguato per la crescita dei figli. I trasferimenti monetari non sono la ragione, di per sé, per cui si ha un figlio, ma aiutano a ridurre l’incertezza nel processo decisionale che porta a tale scelta. Consentono di ridurre il rischio di esperienza negativa dopo l’arrivo di un figlio rispetto alle difficoltà economiche, mettendo in condizioni più favorevoli le coppie orientate ad averne altri.

Nelle versioni adottate nei vari paesi europei si va da un importo che destina stesso ammontare a tutti i bambini, a un assegno fortemente legato al reddito della famiglia (formato da una bassa componente di base che va universalmente a tutti, a cui si aggiunge una incisiva componente variabile). Questo secondo caso si configura più come strumento di contrasto alla povertà che di politica familiare in senso proprio. La misura-ponte entrata in vigore il primo luglio risulta fortemente progressiva (il massimo è 167,5 euro per bambini in famiglie con Isee pari o uguale a 7 mila, ma si scende a 83,8 euro mensili per famiglie con Isee di 15 mila e a 30 euro per Isee di 40 mila, per poi annullarsi oltre 50 mila).

Da un lato, l’aumento della povertà seguito alla pandemia ha fatto, giustamente, aumentare l’attenzione verso le famiglie più in difficoltà. D’altro lato, però, se questa misura si sposta su tale obiettivo rischia di rimanere debole l’azione a sostegno della natalità (che ha bisogno di un insieme integrato di misure percepite come rilevanti anche dal ceto medio).

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L’Italia fragile senza giovani: ora il declino accelera al Sud

L’Italia è un mondo nel mondo. E’ un paese molto vario, nel quale si possono trovare, in vari ambiti, eccellenze comparabili alle aree più avanzate del pianeta, ma anche realtà in situazione di accentuata fragilità. Oltre ad essere molto articolato, come mostrano i dati degli indicatori sulla qualità proposti in queste pagine, il quadro interno è anche non scontato. Da un alto, i contesti usualmente considerati più positivi e dinamici possono mostrare limiti rilevanti in alcune dimensioni. D’altro lato, aree considerate generalmente svantaggiate, non necessariamente si trovano al ribasso su tutti gli indicatori.

Demografia, democrazia e la scelta (cinese) di un futuro dinamico

Se il XX secolo è stato dominato dalla preoccupazione per l’eccessiva crescita della popolazione, quello attuale sarà sempre più caratterizzato dall’attenzione verso le conseguenze di un inedito declino demografico. Un momento chiave di tale passaggio è stata la decisione, presa nel 2013, dalle autorità cinesi di dare addio alla politica del figlio unico. Il processo messo in moto da tale decisione arriva a compimento con l’apertura, annunciata in questi giorni, verso la possibilità di andar oltre anche al secondo figlio. Di fatto un riconoscimento che sono cambiate le condizioni alla base sia delle dinamiche demografiche che del contesto in cui i cittadini operano le loro scelte. Più che proibire e sanzionare chi ha figli diventa auspicabile incentivare e favorire la propensione ad averne.

I dati aiutano a capire più chiaramente tale passaggio epocale. Nel 1950 gli abitanti del pianeta risultavano saliti oltre 2,5 miliardi, dei quali oltre mezzo miliardo viveva in Cina. Tale ammontare della popolazione mondiale risultava raddoppiato alla fine degli anni Ottanta, ma all’inizio di tale decennio la Cina da sola aveva già superato il miliardo.

E’ quantomeno da Marco Polo che gli osservatori esterni associano numeri impressionanti alla terra del Dragone, ma in questo caso il dato era tale da suscitare ancor più preoccupazioni interne. In tale contesto la Cina decise di entrare nella storia con la decisione di imporre alle coppie quanti figli avere, piegando brutalmente la demografia agli obiettivi di crescita economica. L’impatto della “politica del figlio unico”, adottata dal 1979, è riscontrabile nel confronto relativo con l’evoluzione mondiale. Secondo le previsioni delle Nazioni Unite gli abitanti del pianeta nel 2050 saranno circa il doppio rispetto al momento in cui Pechino avviò tale politica, mentre la Cina nello stesso periodo risulterà cresciuta solo del 50%. Dopo essersi fermata sotto il miliardo e mezzo, inizierà nei prossimi anni un progressivo declino che la ricondurrà vicina a un miliardo nel 2100. Prima della fine di questo decennio verrà superata dall’India, ma anche quest’ultima entrerà in fase discendente poco dopo il 2050. A quell’epoca rimarranno solo un numero sempre più ristretto di paesi con fecondità elevata, concentrati nell’Africa sub-sahariana. Il mondo entrerà, quindi, nel XXII secolo con la crescita esuberante archiviata e una demografia a ricambio lento, con poche nascite e persone che vivono sempre più a lungo.

La questione vera non è, però, l’aumento della longevità e nemmeno il declino, in sé, degli abitanti del pianeta. Quando la fecondità rimane posizionata attorno ai due figli per donna, la popolazione smette di crescere, o diminuisce lentamente, mantenendo un sostanziale equilibrio tra generazioni. Se invece la fecondità scende repentinamente e rimane a lungo sensibilmente sotto tale soglia si determina un’alterazione strutturale che può avere forti ripercussioni negative sulla crescita economica. In particolare, la denatalità va progressivamente ad erodere la componente attiva che produce ricchezza, finanzia e fa funzionare il sistema sociale, a fronte di una accentuata crescita della popolazione anziana.

Un meccanismo che l’Italia conosce bene. La fecondità cinese non è ancora così bassa come quella del nostro paese, ma partiva da livelli più elevati. Inoltre il sistema di welfare è molto meno sviluppato. Quando entrò in vigore la politica del figlio unico gli under 25 costituivano circa il 55% della popolazione totale e gli over 65 non arrivavano al 5%. Entro la metà di questo secolo i primi risulteranno più che dimezzati e saranno superati dai secondi.

Ma gli squilibri demografici tendono anche ad autoalimentarsi. La denatalità passata riduce la popolazione in età riproduttiva, che corrisponde anche alla componente più rilevante per i consumi interni, la partecipazione al lavoro, la produttività e l’innovazione. In particolare, la fascia 25-49 si ridurrà di quasi un terzo entro la metà del secolo.

Ora per il governo cinese, come una sorta di nemesi storica, è l’esito prodotto sulla struttura per età della politica del figlio unico a rappresentare una delle principali minacce alla crescita economica. Ma se può essere efficace una politica che impone di non avere figli, molto più complessa è quella che mira a favorire la scelta libera di averne in più. Si tratta di un tema che diventerà sempre più sensibile nel rapporto tra demografia e democrazia, oltre che tra entrambe e le sfide dello sviluppo sostenibile, nel resto di questo secolo.

Il Paese al bivio del declino. Non bastano le misure in pista

Due figli per donna. E’ il livello che consente di mantenere, nelle società mature avanzate, un equilibrato rapporto tra generazioni. L’Italia è uno dei paesi maggiormente crollati sotto tale soglia negli ultimi due decenni del secolo scorso. Era possibile evitarlo? Si. Molti stati, come Francia e Regno Unito, sono riusciti a mantenere il tasso di fecondità poco sotto valore.