Meglio mettersi al lavoro

25/04/2018
Meglio mettersi al lavoro VANITY FAIR

A tre anni dall’iscrizione il 25% delle matricole lascia, dopo quattro la quota è del 30% e dopo sei anni il 33%.

Perché all’agognato pezzo di carta molti non arrivano mai?

I motivi sono vari. Il principale è la carenza di orientamento mirato e personalizzato durante gli ultimi anni della scuola secondaria. I dati del “Rapporto giovani” dell’Istituto Toniolo mostrano come i giovani italiani siano meno informati rispetto all’offerta formativa universitaria e agli sbocchi lavorativi che offre. Accade così che molti si perdano, che molti affermino che tornando indietro farebbero una scelta diversa, che molti dopo la laurea si trovino a fare un lavoro poco coerente con il proprio titolo di studio.
Pesa anche il nostro minor investimento in borse di studio. Va inoltre considerato che sono molti anche i giovani che si iscrivono all’università perché non trovano lavoro e abbandonano appena lo trovano o per carenza di motivazione a continuare. La conseguenza di tutto questo è che chi meno si iscrive all’università e chi abbandona di più sono soprattutto i giovani che provengono da classe sociali medio-basse.

La laurea, sembra di capire, non viene più vista come un investimento sul futuro. Perché da noi è così diffuso il pregiudizio che “non serve a niente”? Ed è solo davvero un pregiudizio a confronto con l’esperienza dei laureati di altri paesi Europei?

Non è vero che “non serve a niente”, i dati però mostrano come il rendimento della laurea, in termini di tasso di occupazione e remunerazioni, arriva più tardi in Italia rispetto agli altri paesi europei. La condizione occupazione di un laureato under 30 non è migliore di un diplomato, ma con il tempo l’essere laureato fa la differenza aumentando opportunità e condizioni in tutto i corso di vita. Questo diventerà ancora più vero nei prossimi anni, con l’impatto dell’automazione che ridurrà i lavori standard, soprattutto quelli manuali e ripetitivi.

Quanto conta l’elemento degli italiani “mammoni” che non escono mai di casa e non si assumono responsabilità? E quello dell’orientamento e della scelta – spesso poco corrispondente alla vocazione personale – della facoltà?

L’iperprotezione dei genitori italiani verso i figli può essere dannosa, perché rende più fragili i giovani, meno responsabili e consapevoli rispetto alle proprie scelte, con il rischio di accorgersi troppo tardi che il percorso imboccato non è quello più adatto alla propria vocazione e alle proprie capacità.

A chi si è bloccato e non riesce ad andare avanti o pensa di abbandonare, lei cosa direbbe?

Consiglierei di riflettere con attenzione. C’è un costo dell’abbandonare (il tempo perduto) e c’è un costo nel proseguire se la strada porta davvero fuori rotta rispetto alle proprie vere aspirazioni. Va valutato quello che dei due prevale, con molta onestà soprattutto nei confronti di se stessi. Tenendo conto che non esiste una regola che vale per tutti. Ci sono laureati in filosofia che sono eccellenti manager o progettisti.

 

giovani e lavoro