Millennial, meno soldi e più etica

08/06/2018
CORRIERE DELLA SERA
Millennial, meno soldi e più etica CORRIERE DELLA SERA

Millennial, Ni-Ni, Echo boomers. E ancora, Net generation. Sono molte le definizioni utilizzate per indicare i giovani nati tra l’inizio degli anni Ottanta e la fine degli anni Novanta, che hanno tra i 18 e i 35 anni, ma nulla a che fare con i cosiddetti «bamboccioni». Cresciuti in un periodo in cui telefonini e computer non erano ancora oggetti largamente diffusi, sono diventati adolescenti con lo smartphone in mano. La «Generazione Y» ha vissuto in prima persona uno dei periodi più bui dell’economia globale, con la minaccia del terrorismo che ha rappresentato per loro quello che era stato per genitori (e nonni) il timore di una guerra nucleare. Giovani adulti, dai quali ci si aspetta un potere di acquisto limitato, ma orientati all’acquisto online e alla sharing economy: a compensare la minore disponibilità monetaria c’è il numero degli esponenti di questa generazione, pari al 24 per cento della popolazione europea (in Italia sono 8,6 milioni). Dati sufficienti a permettere loro di influenzare in modo significativo l’andamento dei consumi in molti settori, ma anche il mercato del lavoro al quale si avvicinano, spesso, con poca fiducia. Alimentata, difficile negarlo, anche dalle carenze nell’orientamento scolastico e dei servizi per l’impiego che non aiutano a fare scelte ottimali quando si tratta di mettere in relazione attitudini personali, formazione e collocazione adeguata nel mondo delle professioni.

Nuovi valori da integrare
Come mostra il VII sondaggio di Deloitte che ha interessato 10.455 ragazzi in 36 Paesi, i Millennial hanno poca fiducia nei confronti delle aziende che potrebbero assumerli in futuro, o nelle quali stanno muovendo i primi passi. Se si fa un paragone con due anni fa, meno della metà di loro ritiene che le imprese si comportino in modo etico (il 48 per cento rispetto al 65 per cento nel 2017) e che i leader che le guidano siano attivi in prima persona nel migliorare la società (47 per cento rispetto al 62). Quello che emerge è «una forte richiesta di impegno da parte delle imprese che, oltre che sui posti di lavoro, dovrebbero investire risorse nella tutela dell’ambiente e in progetti formativi ed educativi che promuovano la salute e il benessere dei singoli», spiega l’amministratore delegato di Deloitte Central Mediterranean Enrico Ciai. Chiedendo proprio alle aziende le risposte che la politica sembra non riuscire più a dare. Non sono più sufficienti i valori tradizionali — promossi e tuttora validi — come trasparenza, rettitudine, rispetto delle regole, sviluppo di competenze tecnico-manageriali: questi «devono essere integrati, per venire incontro alle loro aspirazioni, con maggiore rispetto della diversità, dell’inclusione e della flessibilità».

Nomadi del lavoro

Non bisogna dimenticare che la loro è un’età nella quale è importante «aver già messo basi solide per il futuro, sia professionali che di vita. Ci si trova, invece, a soffrire dei segni lasciati dalla crisi, disorientati rispetto alle sfide poste da grandi cambiamenti come l’invecchiamento della popolazione, l’immigrazione, l’impatto dell’innovazione tecnologica», spiega il sociologo Alessandro Rosina, docente di Demografia e Statistica sociale alla Cattolica di Milano. A preoccupare, aggiunge, è «la scarsa fiducia che la classe dirigente riesca a guidarli anziché subirli, coinvolgendoli in prima persona nel dare risposte positive alle sfide». Dietro questo calo di fiducia, però, si nasconde la più preziosa delle opportunità per le aziende. Considerando la progressiva introduzione dell’industria 4.0, i giovani chiedono «un supporto nello sviluppo di soft skills come la sicurezza nelle proprie capacità, le abilità interpersonali e lo sviluppo dell’etica e dell’integrità professionale», evidenzia Ciai. Quasi il 60 per cento dei giovani italiani considera le opportunità formative come primo criterio di scelta, anche rispetto agli stipendi: un’opinione in controtendenza con quella dei coetanei che nel resto del mondo favoriscono gli incentivi economici. E ancora più significativa visto che negli ultimi anni il peggioramento delle remunerazioni ha forzato una prolungata dipendenza dai genitori e vincolato al ribasso tutte le altre scelte di vita.

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