Ripartono i matrimoni. Fine della crisi?

Anche al di là di fattori culturali, forse meno negativi di quanto si possa pensare, e di fattori economici, meno penalizzanti con l’uscita dalla crisi, il numero annuo di nozze si scontra oggi con meccanismi demografici di schiacciamento verso il basso che continueranno ad operare nei prossimi anni.

Nei novant’anni di storia del Paese raccontati dall’Istat, nato nel 1926 con il nome di Istituto Centrale di Statistica, il punto più basso dei matrimoni è stato toccato nel 2014 con meno di 190 mila celebrazioni. Nemmeno negli anni più bui della seconda guerra mondiale si era scesi così in basso. Molto vivace era stata, allora, la successiva ripresa. Dalle 215 mila nozze del 1944 si salì a oltre 385 mila nel 1948. Ma la vera “epoca d’oro del matrimonio” arriva successivamente e corrisponde agli anni che vanno dal 1956 al 1963. E’ una fase in cui l’intero paese si rialza, non solo per la ricostruzione, ma per l’inizio di un nuovo percorso di sviluppo che intreccia crescita economia, welfare in espansione, fiducia nel futuro. Assieme all’economia si alzano anche i matrimoni e, successivamente, le nascite.

Ci si sposa più di prima e in età più giovane, per un intreccio di fattori: l’industrializzazione amplia i posti di lavoro che assorbono soprattutto giovani, in un contesto in cui il matrimonio è ancora il modo attraverso cui si conquista l’autonomia dai genitori e si forma un proprio nucleo familiare. I 420 mila matrimoni celebrati nel 1963 rimangono un record positivo non più superato. Il numero annuale di nozze rimane però elevato fino al 1973, anno della crisi petrolifera. Tale anno segna convenzionalmente anche la fine dei “Trenta gloriosi”, la fase di crescita e welfare espansivo che aveva caratterizzato i primi tre decenni del secondo dopoguerra. Da allora inizia una parabola discendente per i matrimoni. Ci si sposa sempre più tardi e sempre di meno. Si entra in un clima di minori sicurezze sociali, di maggiori incertezze verso il futuro, di riduzione di opportunità per le nuove generazioni. Ai fattori strutturali si sovrappongono anche cambiamenti culturali profondi. I percorsi di transizione alla vita adulta si fanno meno standardizzati, più liberi dalle norme sociali e più guidati dalle scelte personali. Oltre che sempre meno disposte a limitare la propria libertà, le nuove generazioni diventano anche sempre più insofferenti nell’adottare, in età troppo giovane, comportamenti che implichino assunzioni definitive di impegni e responsabilità, con conseguente tendenza a evitare scelte percepite come irreversibili o comunque troppo vincolanti come il matrimonio. Un po’ più tardi rispetto agli altri paesi occidentali questi cambiamenti investono anche l’Italia. Sia per scelta che per strategia adattiva rispetto ad uno scenario di crescenti incertezze nelle relazioni di coppia e di prospettive lavorative, aumentano le unioni informali.

Come esito di tutto questo il numero di nozze arriva a scendere attorno a 250 mila prima della recente crisi economica. La recessione ha poi ulteriormente accentuato i fattori di difficoltà del mettere su famiglia, riducendo sia la formazione delle unioni, sia incentivando le giovani coppie ad adottare forme più economiche e flessibili rispetto al vincolo coniugale. A diminuire risultano essere, infatti, soprattutto i primi matrimoni.

Dati e analisi indicano che più che in altri paesi, il matrimonio risulta in Italia schiacciato a livelli bassi dalle difficoltà oggettive. Imputare tutto il calo a fattori culturali, pur rilevanti, è un eccesso di semplificazione che non aiuta a capire la realtà in trasformazione e le sfide che ci pone. Solo qualche mese fa il Censis ha pubblicato uno studio dal titolo “Non mi sposo più”, dove viene delineato un quadro di crisi irreversibile che mette sotto accusa la deresponsabilizzazione affettiva delle nuove generazioni. Sulla scorta di tale studio, estrapolando in modo lineare l’andamento degli ultimi anni, si arriva a produrre scenari di estinzione per il matrimonio, come fosse una abitudine fuori moda da dismettere. I dati dell’Istat riferiti al 2015 sono una prima smentita. Per la prima volta, dopo il lungo periodo di recessione, le nozze tornano a salire, lievitando di circa 4600 celebrazioni rispetto all’anno precedente. I motivi possono essere vari, ma una spiegazione plausibile è il meccanismo di recupero che scatta alla fine delle crisi, come in passato avveniva dopo le epidemie o le guerre. Appena le condizioni economiche migliorano si possono realizzare le scelte desiderate e per molti il matrimonio rimane tale.

Però non illudiamoci, anche al di là di fattori culturali, forse meno negativi di quanto si possa pensare, e di fattori economici, meno penalizzanti con l’uscita dalla crisi, il numero annuo di nozze si scontra oggi con meccanismi demografici di schiacciamento verso il basso che continueranno ad operare nei prossimi anni. Si tratta del fatto che, come conseguenza della denatalità passata, è in fase di contrazione la popolazione tra i 25 e i 40 anni. La risposta – più che accusare i giovani di nichilismo alimentando profezie che si autoadempiono – è allora quella di favorire, ancor più, i loro progetti e le loro scelte di vita, perché questo è l’unico modo di dar solidità al futuro comune.

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