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Il degiovanimento infelice dell’Italia

Nel 2013 l’Italia ha raggiunto il valore più basso di sempre nella curva delle nascite. Il punto più alto era stato raggiunto mezzo secolo fa, nella prima metà degli anni Sessanta, con oltre un milione di nati ogni anno. Si è scesi sotto le 900 mila unità nel 1972, sotto le 800 mila nel 1976, sotto le 700 nel 1979, sotto le 600 mila nel 1984, da allora non siamo più risaliti sopra tale livello. L’ultimo dato fornito dall’Istat, quello appunto del 2013, indica 514 mila nati, ma sarebbero 410 mila senza il contributo dell’immigrazione. Questi sono i valori assoluti.

Se facciamo riferimento al tasso di fecondità totale, ovvero al numero medio di figli per donna, è dal 1978 che ci troviamo sotto il fatidico valore di 2 (ovvero sotto la soglia di sostituzione generazionale) e dal 1984 sotto 1,5. Oggi il dato arriva a malapena a 1,4. Questo ci rende uno dei paesi sul pianeta con maggior persistenza della bassa fecondità.

L’implosione demografica del Sud

Il Mezzogiorno ha tradizionalmente rappresentato una riserva demografica per l’Italia e, nei decenni passati, la fecondità, pur declinando, è rimasta al di sopra della media nazionale. A partire dal 1995 tale tendenza ha cominciato a invertirsi, fino al sorpasso avvenuto nel 2006, quando per la prima volta la fecondità al Nord ha superato quella al Sud. Le dinamiche che nel Mezzogiorno hanno condotto a questo rovesciamento vanno dalla minore partecipazione delle donne al mercato del lavoro alle difficoltà dei giovani a trovare impiego e, di conseguenza, a metter su famiglia, alla necessità sempre più frequente di cercare fortuna all’estero. Bassa natalità e forte mobilità delle nuove generazioni sono alla base del fenomeno del degiovanimento, che rischia di avvitare il Meridione in una spirale senza ritorno. Per invertire la rotta prima che sia tardi, è necessario promuovere un modello sociale che rimetta al centro le persone.

I giovani senza lavoro e il futuro che si meritano

Le promesse e i fatti

Insomma, dai politici non sono mancate le promesse di miglioramento della condizione delle nuove generazioni. A mancare continuano però ad essere i fatti, a giudicare dalla persistente difficoltà dei giovani sia nel trovare e creare lavoro, che, conseguentemente, nell’avviare un proprio progetto di vita autonoma.

Mentre nel resto d’Europa a lavorare è la gran parte di chi ha tra i 18 e i 29 anni, da noi è solo una minoranza a farlo: il tasso di occupazione era il 48% nel 2005 ed è sceso nel 2012 sotto il 40%. Anche il tasso maschile si è inabissato sotto la soglia del 50% e si trova attualmente vicino al 45% (al 33% quello femminile). Oltre 10 punti sotto la media europea.

Si accentua quindi ulteriormente il paradosso di un’Italia che non solo ha meno giovani rispetto agli altri paesi avanzati, ma li rende anche meno attivi e partecipativi nella società e nel mercato del lavoro (di conseguenza più passivamente dipendenti economicamente dai genitori).

Sul significato dell’essere giovani e disoccupati in Italia

Che i giovani siano sempre di meno lo abbiamo detto e documentato molte volte in questo sito, ragionando anche su cause e implicazioni (si veda anche l’ebook per un italia che riparta dai giovani: analisi e politiche. E una conversazione con Fabrizio Saccomanni ).Datagiovani è tornata in questi giorni sull’argomento confermando quanto ampiamente noto, ma con aggiornamenti sempre utili, ottenuti rielaborando i più recenti dati Eurostat. I dati su questo tema fanno, del resto, sempre effetto. La fascia 15-24 conta attualmente circa 6 milioni di persone, rispetto agli 8,9 milioni ad inizio anni Novanta. In termini relativi è scesa da oltre il 15 a circa il 10%. Venendo ai dati sull’occupazione, riferiti al 2011, il 73% dei giovani è fuori dal mercato del lavoro (4,4 milioni), mentre il dato europeo è del 57% (con l’Olanda è al 31% e la Germania al 48%). Gli occupati sono 1,2 milioni (19%) e quelli in cerca di lavoro poco  meno di 500 mila. Tanti o pochi questi ultimi? Quasi il 30% sulla forza lavoro, circa 8% su tutti i giovani.

Degiovanimento

I giovani sono sempre stati un bene molto diffuso nelle società del passato. La struttura tipica della popolazione è fatta a piramide. La base corrisponde alle fasce d’età più giovani, da sempre la componente demografica più consistente, mentre la punta rappresenta le fasce più anziane, numericamente molto più esigue. Questo è stato vero per tutta la storia dell’umanità fino a qualche decennio fa. Stiamo oggi vivendo una fase di passaggio che sta alterando profondamente i tradizionali e consolidati equilibri demografici tra nuove e vecchie generazioni. I motivi di tale cambiamento sono due.