Il voto inquieto dei giovani

Le nuove generazioni non hanno disertato in massa le urne, come molti temevano, hanno semmai deciso di dare un segno chiaro della loro insoddisfazione verso un’Italia che continua a lasciarli con condizioni e opportunità nettamente inferiori ai coetanei europei.

Alla fine i giovani sono andati a votare e hanno dimostrato di essere molto poco riconoscenti verso chi ha governato il Paese negli ultimi anni. Le nuove generazioni non hanno disertato in massa le urne, come molti temevano, hanno semmai deciso di dare un segno chiaro della loro insoddisfazione verso un’Italia che continua a lasciarli con condizioni e opportunità nettamente inferiori ai coetanei europei. Del resto molti si sono chiesti in questi anni perché i giovani non si ribellano. In realtà lo fanno in silenzio, andandosene all’estero e attraverso il voto, che non a caso penalizza soprattutto i partiti tradizionali e chi non si rivela all’altezza delle aspettative suscitate. Ma il registro principale non è quello della rassegnazione.

Alle elezioni del 2013 l’affluenza era scesa da valori storicamente superiori all’80% a poco più del 75%. Ci si poteva quindi aspettare di precipitare il 4 marzo ben sotto il 70%. Se ciò non è avvenuto è perché la partecipazione dei giovani, quella più a rischio, ha tenuto. Del resto, dai principali sondaggi prima del voto, a leggerli bene, emergeva più forte l’indecisione che l’astensione, più forte la disillusione che il disinteresse. I dati dell’Istituto Toniolo, in particolare, evidenziavano come oltre il 70% degli intervistati (nella fascia 20-35 anni) dichiarasse di avere intenzione di recarsi alle urne anche se meno della metà aveva un’idea chiara e convinta su chi votare. Quella che si profilava era quindi un’affluenza giovanile non bassa, non tanto perché attratta dalla qualità dell’offerta politica, piuttosto spinta dalla voglia di dare un segnale (di presenza inquieta).

Ora i dati ufficiali disponibili consentono di vedere come si è votato in ciascun seggio e su ciascun tipo di scheda. Non è disponibile il dettaglio per classe di età, ma qualche indicazione arriva dalla distribuzione del voto sul territorio, che mostra come il M5S abbia avuto più successo nelle aree con popolazione meno anziana e con maggiore disoccupazione giovanile.

Altre indicazioni interessanti possono essere ottenute dal raffronto tra Camera e Senato. Dato che nel primo caso l’elettorato è costituito da tutti i maggiorenni e nel secondo da chi ha compiuto almeno 25 anni, le differenze sui voti ottenuti possono rivelare come si è distinto l’elettorato più giovane (con peso pari all’8% dei cittadini di nazionalità italiana).

I divari non sono nel complesso così ampi, purtuttavia alcuni interessanti elementi emergono. A presentare percentuali più alte al Senato che alla Camera sono il PD (19,1 contro 18,7), Forza Italia (14,4 contro 14,0) e Lega (17,6 contro 17,4). Questi partiti hanno quindi tendenzialmente ottenuto maggiori consensi dai cittadini più maturi rispetto ai più giovani. Viceversa è accaduto per il M5S (32,2 contro 32,7). Ma anche molti partiti minori (+Europa, LeU, Noi con l’Italia, Potere al popolo, ecc.) risultano aver guadagnato proporzionalmente più attenzione dai più giovani.

In attesa di dati più dettagliati (ma meno solidi) da indagini post voto, si può quindi affermare che i giovani sono andati a votare soprattutto per dare un segnale di insoddisfazione rispetto alla propria condizione e, nel contempo, di basso affidamento verso chi ha avuto responsabilità di governo.

Non è un caso che il M5S – la forza che appare più lontana dalla politica tradizionale e più aperta al coinvolgimento dal basso – abbia ottenuto nettamente i maggiori consensi tra i giovani e al Sud, ovvero tra chi è più in difficoltà su lavoro e rischio di povertà. E non c’è dubbio che la combinazione tra reddito di cittadinanza e politiche attive efficaci sia la proposta in campo più ambiziosa (e insidiosa) nei loro confronti.

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