Facciamo pochi figli, ma servono più incentivi

Con il Fertility day il Ministero della Salute sta ottenendo il peggior risultato possibile: produrre divisioni su un tema sensibile e cruciale per il Paese, che andrebbe affrontato con ben altro approccio.

E’ vero, gli italiani fanno pochi figli, da molti punti di vista. Ne fanno molti meno rispetto ai francesi, agli americani, agli inglesi, agli svedesi e a gran parte del mondo occidentale. Ne fanno molti meno anche rispetto a quanto considerato auspicabile per un equilibrato rapporto tra generazioni. Il numero medio di figli per donna è infatti persistentemente e marcatamente inferiore a due. Il dato Istat più recente è pari a poco più di un figlio e un terzo. Questo significa che stiamo viaggiando con generazioni di figli via via meno consistenti rispetto a quelle dei genitori. In prospettiva ciò porta, anche tenendo conto dei flussi migratori, a rendere il nostro paese uno di quelli con carico maggiore al mondo di anziani sulla popolazione attiva.

I dati ci dicono che il tema quindi esiste. Perché allora il Ferility day sta producendo divisioni? Dopotutto il Ministero della Salute fa il suo mestiere informando sulle scelte che producono benessere per i cittadini. Quello che risulta più discutibile è il mettere al centro della questione della bassa natalità la necessità di convincere gli italiani di quanto sia utile per il paese fare figli e quanto sia bello diventare madri e padri. In primo luogo un approccio di questo tipo, come dimostrano anche le reazioni sui social, rischia di ottenere per molti l’effetto contrario. In secondo luogo molte ricerche evidenziano come il numero di figli desiderato dai ventenni italiani non sia più basso rispetto ai coetanei francesi, americani e svedesi. La differenza sta soprattutto nel fatto che i progetti di conquista di una propria autonomia e di formazione di una propria famiglia sono più facilmente realizzabili negli altri paesi avanzati. Se una giovane donna italiana si trova con maggior difficoltà a inserirsi nel mercato del lavoro, ad ottenere una remunerazione adeguata, a conciliare lavoro e famiglia, possiamo pensare di convincerla ad avere figli, nonostante tutto questo, informandola maggiormente sul fatto che se aspetta troppo rischia definitivamente di non averne?

E’ vero che le possibilità di concepimento si riducono con l’età e più si rinvia e più si rischia di trovarsi a rinunciare. Il Ministero fa bene a ricordarlo e a cercare di promuovere maggior consapevolezza delle implicazioni, individuali e collettive, delle proprie scelte o non scelte. Ma è anche vero che il bello della maternità e della paternità più che con pressioni o suscitando timori, si trova potendo, nei tempi desiderati, realizzare e vivere con successo l’esperienza di avere un figlio grazie a politiche che funzionano.

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