Giovani, politica e sindacati

La necessità di ripensare rappresentanza collettiva delle nuove generazioni per sviluppo paese

Arriviamo da una campagna elettorale che ha poco appassionato i giovani e che lascia risultati considerati dai giovani stessi insoddisfacenti. I dati delle rilevazioni post voto mostrano come la grande maggioranza abbia deciso negli ultimi giorni e prevalga la convinzione che non si riuscirà ad avere un governo solido. Questo è allora forse il momento migliore per guardare oltre la necessità della ricerca di immediato consenso per confrontarsi in concreto su come ridefinire le basi di un virtuoso rapporto tra piano di sviluppo del Paese e ruolo delle nuove generazioni.

I dati del “Rapporto giovani” dell’Istituto Toniolo mostrano come sia nettamente prevalente tra gli under 35 l’idea che i partiti attuali non offrano adeguato spazio alle nuove generazioni. Oltre due giovani su tre considerano la politica utile per migliorare la vita dei cittadini, ma la chiedono orientata effettivamente al bene comune e che abbia la capacità di coinvolgerli. Discorso analogo vale per i sindacati. La grande maggioranza degli intervistati pensa che una forma di rappresentanza collettiva a favore dei giovani sia possibile, anzi necessaria, ma è sulla sua forma che si registra la divisione: una metà punta ad un rinnovamento degli attuali sindacati, l’altra auspica qualcosa di nuovo che nasca dal basso. Per tre su quattro tale rinnovo richiede la disponibilità e capacità di rimettersi in discussione vera e aperta con le nuove generazioni. Qui sta la differenza tra un sindacato che ha una funzione strumentale (a cui rivolgersi occasionalmente per un bisogno personale o per il disbrigo di una pratica) e un sindacato che rappresenti una realtà viva e aperta, in grado, invece, di porsi in modo credibile e autentico nei confronti delle nuove generazioni, come soggetto rappresentante di interessi collettivi, capace di essere alleato positivo del protagonismo giovanile nel mondo che cambia.

Perché ciò avvenga è necessaria però una trasformazione più profonda, una trasformazione essenzialmente culturale, che dovrebbe poggiare su quella che chiamiamo la formula delle 3R: scelte radicali, rifondative, rigeneratrici.

La ridefinizione del rapporto tra sviluppo e nuove generazioni non può che partire da un rinnovo della capacità di rappresentanza collettiva degli interessi dei giovani e del futuro collettivo.

Il sindacato può potenzialmente rispondere a questa sfida se riesce a superare limiti e criticità nel cogliere le istanze dei giovani, nel mettersi in sintonia con le loro sensibilità e aspettative, ma anche nel coinvolgerli in posizioni di responsabilità. Il rischio, altrimenti, non è solo quello della marginalizzazione di una generazione, ma anche della crescita di frustrazione, sfiducia, perdita di senso di appartenenza sociale, nonché di una deriva verso forze che sanno intercettare ed esprimere solo rabbia e rancore. In altri termini, dobbiamo evitare di cadere nell’errore da cui ci ammonisce Cesare Moreno, presidente dei Maestri di Strada, l’associazione che lotta ogni giorno contro la dispersione scolastica e la marginalizzazione dei giovani: “La cultura di destra e di sinistra pensa ai giovani come un derivato delle loro condizioni sociali, delle disgrazie attraversate. Ma i giovani non sono la conseguenza del loro passato. Bisogna sognare le persone, andare verso qualcosa di nuovo”. Il degiovanimento nel nostro paese sta diventando un ulteriore alibi per la politica per non occuparsi della questione giovani, bisogna invece fare in modo che le nuove generazioni si riapproprino della dimensione di futuro, attraverso un protagonismo immediato, nel presente. Candidarli alla panchina civile e alla lista d’attesa è il sintomo di un paese ripiegato su sé stesso, è ora di girare pagina, con coraggio.

di Marco Bentivogli e Alessandro Rosina

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