I giovani dalla panchina all’attacco

Che Fare pubblica un estratto dal Capitolo V del libro “NEET. Giovani che non studiano e non lavorano”, pubblicato da Vita e Pensiero

Per tornare a crescere non basta uscire dalla recessione, è necessario avviare un modello di sviluppo in grado di trasformare le nuove generazioni in energia creativa e produttori di benessere del paese. La fine della crisi non è una soluzione per almeno due motivi. In primo luogo, già prima di entrare nella congiuntura negativa il tasso di Neet (gli under 30 disoccupati e inattivi) era tra i più alti in Europa.

In secondo luogo, se non si agisce con misure adeguate, il ritorno ai livelli pre-crisi sarà molto lento con l’esito di lasciare segni permanenti su un’intera generazione che rischia di ritrovarsi adulta senza aver messo le basi per solidi progetti di vita. Uno scenario che avrebbe implicazioni devastanti per la sostenibilità sociale del paese oltre che per la sua crescita economica e la sua competitività sullo scenario mondiale.

Le precondizioni per agire con politiche in grado di evitare tale scenario, non come palliativi per renderlo meno drammatico, possiamo elencarle nei seguenti punti. Vanno predefiniti obiettivi chiari e misurabili (prendendo come indicatore il numero di Neet, ma anche la quota di giovani in età 25-29 anni economicamente autosufficienti).

Gli obiettivi al punto precedente vanno stabiliti sia con orizzonte di breve che di medio periodo: nel primo caso per evitare che gli attuali giovani affacciati al mercato del lavoro siano una “lost generation”, nel secondo soprattutto per promuovere condizioni migliori per le generazioni ancora nel percorso formativo.

Tali obiettivi devono essere considerati una priorità nazionale e quindi mobilitare tutte le risorse necessarie per arrivare ad ottenere i risultati stabiliti. Tutto questo richiede anche un cambiamento culturale che porti a superare definitivamente la resistenza nell’investire sulle nuove generazioni come bene pubblico, in contrapposizione agli aiuti privati forniti ai figli all’interno delle famiglie.

Le politiche devono essere fatte non tanto “per i giovani”, ma “con i giovani per la crescita del Paese”. Nulla di questi punti finora si è realizzato con forza ed evidenza. Senza queste precondizioni qualsiasi specifico strumento implementato è destinato ad essere inefficace, come avvenuto del resto negli ultimi vent’anni caratterizzati non solo da carenza di azioni mirate, ma anche da riforme con buone intenzioni ma incomplete o inadeguate, soprattutto non in grado di produrre gli effetti desiderati.

Fatte salve queste ineludibili premesse, esistono alcune direzioni promettenti rispetto a specifiche azioni da intraprendere: misure che in altri paesi hanno già dato risultati di rilievo, ma anche interessanti nuove vie da sperimentare con i mezzi e l’approccio giusto. Si tratta di interventi che devono consentire di ottenere una migliore acquisizione di competenze, oltre che una solida formazione di base, una maggiore familiarità con il mondo del lavoro e i suoi meccanismi, una maggiore intraprendenza e capacità di innovare i processi di produzione.

 

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