Il futuro che ci manca

Si tiene a Roma la Terza costituente delle idee

Una delle principali questioni del nostro tempo è la crisi dell’immagine positiva del futuro, allo stesso tempo causa e conseguenza dell’aumento di incertezza nelle scelte individuali e collettive del presente. Per lunga parte della storia dell’umanità il futuro è stato immaginabile: un bambino di dieci anni dell’epoca di Virgilio, di quella di Dante, o anche di Leopardi, vedendo il padre e il nonno poteva prefigurarsi come egli sarebbe stato alla stessa età. L’informazione che dal presente traeva di come vivevano gli anziani e cosa facevano gli adulti era fortemente informativa della sua vita da adulto e da anziano. D’altro canto, avrebbe avuto però molte meno possibilità di cambiare il proprio destino.

Oggi viviamo in un mondo profondamente diverso, che ha avuto inizio proprio dal desiderio di costruire un futuro migliore per i figli. Desiderio che ha trovato condizioni favorevoli con il metodo scientifico, che ha potenziato la capacità di interpretare e migliorare la realtà in cui viviamo. Ma il vero cambiamento parte da un nuovo atteggiamento culturale, ben rappresentato da Manzoni ne I promessi sposi. Dopo la peste, le ingiustizie e tutte le traversie subite, l’idea di un mondo migliore passa per Renzo attraverso il volere che i propri figli imparassero a leggere e scrivere. La rivoluzione industriale e la transizione demografica sono l’esito di questa nuova visione del futuro.

Abbiamo così iniziato un processo di cambiamento continuo nel quale ogni nuova generazione non solo vive più a lungo delle precedenti ma deve affrontare una realtà che muta e a cui offrire nuovi obiettivi e nuove soluzioni. La sconfitta delle grandi epidemie, dell’elevata mortalità infantile, della fame per larga parte della popolazione, ma anche il vivere a lungo e in buone condizioni di salute, il comunicare istantaneamente da ogni luogo del mondo, il guardare la terra dalla luna, sono obiettivi raggiunti che non solo mostrano la grande capacità dell’uomo di difendersi dai rischi della natura ma di saper elevare i propri desideri oltre l’immaginabile. Questo percorso però, con l’entrata del terzo millennio mostra sempre più nuovi rischi — endogeni più che esogeni — che derivano dall’uomo stesso e dalle implicazioni del processo di cambiamento avviato. Una consapevolezza che ha portato a chiamare Antropocene l’era geologica attuale.

Se nel passato il futuro poteva essere facilmente immaginato ma difficilmente cambiato, oggi può facilmente cambiare ma è molto più difficile poterlo immaginare. Il tipo di lavori, ad esempio, che ci sono oggi sono poco informativi sul tipo di attività che un giovane potrà svolgere quando sarà adulto. Il mondo è sempre più complesso ed è in continua rapida trasformazione. Chiedere a un ragazzo di oggi di pensarsi non tra cinquant’anni, ma anche solo tra venti rischia di produrre insicurezza e apprensione se non si potenziano gli strumenti accessibili per comprendere il mondo che cambia e immaginarsi positivamente incluso nei meccanismi di miglioramento. Questa è una difficoltà che sperimentano tutti i paesi avanzati, che hanno raggiunto alti livelli di benessere ma all’interno dei quali ora prevale il timore degli adulti di perdere le sicurezze del passato a scapito della spinta naturale dei giovani ad aprirsi positivamente verso il futuro.

Una difficoltà che caratterizza l’Italia più di altri paesi. Il basso investimento in politiche familiari ha lasciato ancor più crescere l’incertezza verso il futuro, facendo precipitare la fecondità molto sotto il numero desiderato di figli. Il basso investimento in formazione, diritto allo studio, orientamento, politiche attive del lavoro, ha fatto crescere in Italia il numero di Neet (i giovani che non studiano e non lavorano) ai livelli più alti in Europa. L’elevato debito pubblico e gli elevati squilibri demografici impongono sia un rilancio che un ripensamento del progetto di crescita sostenibile del paese, che deve però partire da un’idea comune di futuro che assegni un ruolo solido e qualificato alle nuove generazioni. Serve però anche una politica all’altezza di questa sfida, in grado di inserire valore, competenza e bellezza all’interno dei processi di cambiamento. Doti che quando l’Italia ha messo in campo, in ogni epoca storica, hanno sempre fatto la differenza e possono ancor più farla in questo secolo.

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