Il J Factor per welfare e lavoro

Le opportunità dei giovani e il rilancio del benessere cittadino non possono che arrivare da un circuito virtuoso di mutuo sostegno tra welfare e lavoro

TUTTE le indagini condotte prima dell’inizio della recessione ritraevano la generazione dei Millennial — gli attuali under 35 — come una delle più orientate a produrre cambiamento e più decise a voler migliorare la realtà attorno a sé. Da qualche anno è invece indicata come la “lost generation”, ovvero quella che meno delle precedenti riuscirà a realizzare i propri obiettivi di vita e maggiormente costretta a rivedere al ribasso le proprie ambizioni. Questo è ancor più vero in Paesi come il nostro, per motivi sia culturali che politico-istituzionali. La combinazione tra iperprotezione della famiglia, economia debole, inefficienze del mercato del lavoro, tendenza delle aziende allo sfruttamento con contratti al massimo ribasso, disattenzioni e inadempienze della politica, ha creato un mix di fragilità tale da ingabbiare in molti il desiderio di spiccare il volo. Quella voglia è però ancora viva nell’animo di molti giovani. Crescente però è anche il rischio di demotivazione, soprattutto per chi parte da condizioni più svantaggiate e fa fatica a trovare nella scuola un’occasione di riscatto. Un’insegnante delle medie mi ha raccontato che non è raro sentire un alunno che spronato a impegnarsi risponde che tanto per avere successo nei talent show la matematica non conta e che se dovesse andar male ad X Factor si può sempre continuare a vivere con i genitori fino a sessant’anni e oltre. Un’opzione questa, nemmeno presa lontanamente in considerazione dai coetanei al nord delle Alpi.

Conseguenza sia di aspetti deteriori del familismo italiano, sia di una scuola che non riesce a intercettare le sensibilità delle nuove generazioni e mettere in connessione sistematica ciò che si studia e vita reale, ma anche di un Paese avaro di occasioni e opportunità vere per i giovani. Per ridare sostanza e credito alle scelte di impegno positivo verso il futuro è necessario che la scuola offra formazione più qualificata, più orientata alle competenze che alle nozioni, più legata alla trasmissione del saper fare; è necessario che il raccordo tra scuola e lavoro sia più fluido e denso di interscambi virtuosi; è necessario rendere più ricche le esperienze in cui ci si mette alla prova anche fuori dall’ambito scolastico e lavorativo.

Questa sfida è ancora più sentita nelle grandi città dove maggiori sono sia i casi di dispersione scolastica e rischio di marginalizzazione, sia le opportunità che può trovare chi si inserisce nei percorsi giusti. Spesso nel discriminare tra queste due opposte condizioni sono le risorse socio- culturali della famiglia di origine. Per questo è importante che funzionino bene le due “i” dell’inclusione e dell’innovazione su cui puntano sinergicamente i due assessori con la “J” nel cognome, Pierfrancesco Majorino e Cristina Tajani.

Del resto sia le opportunità dei giovani che il rilancio del benessere cittadino non possono che arrivare da un circuito virtuoso di mutuo sostegno tra welfare e lavoro, con particolare attenzione alla riduzione delle diseguaglianze e alla promozione dell’innovazione sociale. Tajani e Majorino hanno ricordato in un recente incontro con Poletti che Milano può fare da apripista in Italia sulle politiche sociali e occupazionali, ma a patto che le politiche nazionali siano di supporto e non di vincolo.

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