La condizione giovanile in Italia

“Introduzione: Giovani nel labirinto”, estratto da La condizione giovanile in Italia. Rapporto Giovani 2014, Il Mulino, 2014.

 

INTRODUZIONE: GIOVANI NEL LABIRINTO

Alessandro Rosina

 

Nel Rapporto giovani 2013 abbiamo raccontato la difficile condizione degli under 30 italiani fornendo un ritratto che, a partire dai dati di una indagine ampia e dettagliata, andava oltre gli usuali indicatori delle statistiche ufficiali. Con questo volume siamo al secondo anno di quello che ambisce ad essere un osservatorio continuo che sonda, analizza e racconta la realtà complessa e dinamica dei giovani sia nella dimensione sia oggettiva che soggettiva.

Il mondo delle nuove generazioni è certo molto più ampio e ricco rispetto al loro tormentato rapporto con il lavoro e al benessere economico. Il ritratto fornito nei vari capitoli di questo volume lo conferma. E’ però anche vero che in questo frangente storico le preoccupazioni maggiori, con ripercussioni anche negli altri ambiti di vita, derivano dal non trovarsi con solido materiale su cui costruire le fondamenta del proprio futuro.
Le società moderne avanzate si distinguono per un notevole aumento della rapidità del cambiamento e per un elevato grado di complessità e specializzazione. Per le nuove generazioni è quindi sempre più importante partire da una solida formazione e poter contare su strumenti adeguati per fare le scelte giuste nel passaggio dalla scuola al mondo del lavoro. L’Italia si rivela essere, purtroppo, uno dei paesi avanzati che meno hanno attrezzato le nuove generazioni a vincere le sfide e a cogliere le opportunità di questo secolo. Rispetto ai coetanei degli altri paesi sviluppati i giovani del nostro paese si trovano infatti più spesso avvolti da una fitta nebbia nelle fasi iniziali del percorso occupazionale, con il rischio di perdersi e finire fuori strada.
Negli ultimi anni il quadro è ulteriormente peggiorato a causa della prolungata congiuntura economica negativa in combinazione con la cronica carenza di strumenti a sostegno dell’autonomia e di promozione dell’intraprendenza dei giovani nella società e nel mercato del lavoro. La particolare situazione di difficoltà emerge in modo netto sia nel raffronto con le opportunità delle generazioni precedenti sia con i coetanei degli altri paesi avanzati.
In particolare, la quota di Neet (gli under 30 che non studiano e non lavorano) non è mai stata così elevata in Italia da quanto si è iniziato a calcolare tale indicatore (salita dal 19% del 2007 al 26% del 2013 secondo fonte Istat) e difficilmente si trova in Europa un paese con valori più elevati del nostro. Se passiamo a considerare il più classico tasso di disoccupazione giovanile (convenzionalmente riferito alla fascia 15-24) i risultati che fornisce sono i peggiori mai incontrati dalle generazioni del secondo dopoguerra. E’ bene precisare, visto che molta confusione esiste su questo tema, che il dato si riduce se teniamo conto del fatto che molti a tale età sono studenti, ma non migliora in senso relativo. Se infatti il numeratore, che corrisponde a chi cerca attivamente lavoro, lo mettiamo in rapporto con tutti i giovani (e non solo quelli parte della cosiddetta forza lavoro) dal 40% si scende all’11% (dato Eurostat, anno 2013). Si ottiene così un valore molto più basso, ma è una magra consolazione perché rimane il peggiore degli ultimi decenni e uno dei più alti in Europa. Le cose non migliorano nemmeno se ci spostiamo verso le fasce giovani-adulte e guardiamo ai livelli più elevati di studio. Il tasso di occupazione in età 25-29 dei laureati si colloca infatti, di nuovo, nelle posizioni più sfavorevoli nei raffronti con le altre nazioni avanzate (database Eurostat).
Già prima della crisi eravamo uno dei paesi meno in grado di immettere i membri delle nuove generazioni in un percorso virtuoso di arricchimento delle proprie vite e di produzione di benessere per il Paese. Anziché protagonisti attivi di un’Italia che cresce si sono sempre più trovati ad essere spettatori passivi di un paese che arranca. La recessione ha agito ulteriormente da freno diventando moltiplicatore di fragilità, varie ricerche sulla povertà dell’Ocse e di Bankitalia concordano nel mostrare come negli ultimi anni l’impatto maggiore sia stato subito dai giovani e dalle giovani coppie. Le conseguenze delle difficoltà a costruire solidi progetti di vita si vedono anche sulla demografia, tanto che il 2013 è stato l’anno in cui si è toccato il punto più basso delle nascite nella storia della Repubblica italiana.
Dai vari indicatori ufficiali, pur con i loro limiti, non emerge quindi un quadro generale rassicurante. I dati del Rapporto giovani aiutano ad andare oltre e rivelano come nonostante la frustrazione per il sottoutilizzo delle proprie potenzialità, nelle nuove generazioni rimanga complessivamente alta la volontà di non rassegnarsi.
I giovani indagati appartengono alla generazione dei Millennials, formata da chi ha compiuto i 18 anni dopo l’entrata in questo secolo. Molte ricerche internazionali ne hanno evidenziato i tratti caratterizzanti, tra i quali c’è la spiccata fiducia in sé stessi, la grande voglia di mettersi in gioco e dimostrare quanto valgono, la capacità di far rete, la propensione all’innovazione e al cambiamento, ma anche il grande rischio di demotivazione quando non si vedono valorizzati e nonostante gli sforzi non arrivano risultati positivi.
Anche l’esperienza comune delle difficoltà della crisi nella fase di entrata in età adulta lascia un segno riconoscibile. C’è infatti una differenza sostanziale tra chi è maturo e chi è giovane nell’affrontare le insidie e le sfide del proprio tempo. In verde età si costruisce l’identità di una generazione, si forgiano i tratti distintivi che poi rimangono caratterizzanti anche nelle fasi successive. Ciò che affligge gli anziani è quindi sempre contingente, mentre le deprivazioni in età giovanile producono effetti persistenti lasciando tracce profonde nel sistema di significato in cui si inserisce il proprio agire nel mondo.
Ecco allora che la persistente esperienza negativa in giovane età di una politica incapace di migliorare il bene comune – impersonata da una classe dirigente, a vario livello, inadeguata e di basso profilo etico – può corrodere non solo il rapporto tra cittadino e istituzioni, ma arrivare a indebolire il senso stesso di appartenenza sociale. Questo rischio è ulteriormente accentuato dalla difficoltà di dialogo tra nuove e vecchie generazioni. Si è fatto largo negli ultimi anni un marcato risentimento nei confronti delle generazioni precedenti accusate di essersi chiuse nella difesa del benessere presente anziché investire sul futuro e porre condizioni solide di sviluppo, di aver creato un debito pubblico insostenibile, di non aver riadeguato il sistema di welfare e scaricato sulle nuove generazioni il costo di nuovi e vecchi rischi. La grande maggioranza è convinta che se i giovani faticano a trovare spazi e opportunità per crescere è anche per la resistenza delle vecchie generazioni a difendere e tutelare le proprie posizioni senza rimettersi in discussione, indipendentemente dai risultati raggiunti. Come conseguenza, nei Millennials italiani si sta facendo largo l’idea che quello che conta siano solo le relazioni più prossime e che di tutto il resto ci sia poco da salvare. All’interno di questa rete più stretta, che comunque funziona e dalla quale i giovani traggono stimoli e incoraggiamento nell’affrontare le difficoltà del presente e nel mantenere una visione positiva del proprio futuro, preoccupa però l’indebolimento del padre come figura di riferimento. Questo aspetto emerge in modo evidente in vari capitoli di questo volume. Questo suggerisce come non via sia solo l’impatto delle difficoltà oggettive sull’incertezza quotidiana e sull’indebolimento della progettualità, ma anche una carenza di visione e orientamento a supporto delle scelte di vita, che deriva non solo dai limiti delle politiche attive ma anche da uno scadimento dei meccanismi di trasmissione di senso tra generazioni.
Una condizione che, complessivamente, rende il percorso di transizione alla vita adulta simile ad un labirinto nel quale è facile trovarsi disorientati, dove alto il rischio di girare a vuoto nonostante gli sforzi e, se non ci si perde, fa diventare più contorto e più lungo il perseguimento di qualsiasi obiettivo importante.
Ma questo non vale per tutti allo stesso modo. Se infatti è vero che si è giovani oggi in modo diverso dal passato, esistono però anche spiccate differenze interne alle nuove generazioni. Anzi, più aumentano rischi e problematicità generazionali, più le diseguaglianze tra coetanei tendono a crescere. La conseguenza è che l’universo giovanile si va sempre più polarizzando. Da una parte ci sono coloro che difronte ad un mercato del lavoro bloccato, a meccanismi di ricambio generazionale inceppati, a una società immobile, reagiscono formandosi ancor meglio, sfruttando le opportunità della rete, producendo innovazione tecnologica e sociale. Al lato opposto ci sono quelli che si sono arresi e scivolano progressivamente verso i margini. Quelli che oltre alla fiducia nelle istituzioni e nella società stanno perdendo la fiducia in sé stessi e nel proprio futuro. La linea di demarcazione tra chi sta dentro o fuori a questo gruppo è data soprattutto dal grado di sostegno, prima di tutto umano ed emotivo, fornito dal cerchio magico dei rapporti familiari e amicali più stretti. Quando anche questo viene a mancare la caduta rischia di essere senza rete e produrre enormi e duraturi costi sociali.
Coerentemente con queste riflessioni, in questa edizione del Rapporto giovani oltre ad approfondire caratteristiche e condizioni degli under 30 e le specificità culturali e antropologiche dei Millennials italiani, lo sforzo in più è stato quello di evidenziare anche le differenze interne.

Per approfondire: Rapporto giovani 2014

 

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