La denatalità mette a rischio il sistema

La longevità consente a ciascuna generazione di mantenere più a lungo nel tempo la propria consistenza demografica, mentre la denatalità rende le generazioni entranti (nella popolazione e nel mondo del lavoro) progressivamente più scarse. Lo squilibrio deriva quindi, soprattutto, da questo secondo processo.

L’allungamento della vita media è un’opportunità che va favorita con strumenti che consentano a ciascuno di prepararsi ad affrontare al meglio le vari stagioni dell’esistenza umana. L’aumento, invece, del peso demografico della popolazione anziana inattiva tende ad essere un problema, rendendo più debole la crescita economica e più incerta la sostenibilità del sistema sociale.


I due aspetti non vanno confusi. Noi non viviamo più a lungo, ad esempio, rispetto a Francia e paesi scandinavi, ma presentiamo un invecchiamento della popolazione sensibilmente maggiore. Ciò che rende più complicata la nostra situazione è appunto l’accentuazione degli squilibri demografici generazionali, conseguenza della persistentemente bassa natalità. Detto in altre parole, la longevità consente a ciascuna generazione di mantenere più a lungo nel tempo la propria consistenza demografica, mentre la denatalità rende le generazioni entranti (nella popolazione e nel mondo del lavoro) progressivamente più scarse. Lo squilibrio deriva quindi, soprattutto, da questo secondo processo.
La bassa natalità italiana dopo aver ridotto le fasce più giovani (under 25), sta attualmente erodendo soprattutto la fascia giovane-adulta (25-34). Nel frattempo le coorti più numerose, quelle nate nel periodo del baby boom, si sono spostate oltre i 50 anni. Questo significa che nei prossimi decenni gli squilibri diventeranno sempre più pesanti all’interno del nostro sistema produttivo. Avremo sempre meno italiani nelle età considerate più fertili per produrre crescita competitiva e ricchezza da redistribuire, a fronte di un continuo aumento di persone nelle età in cui tipicamente si assorbono risorse pubbliche per pensioni, salute e assistenza.
I dati degli anni più recenti mostrano come sul campo della ripresa della natalità le politiche siano state largamente inefficaci. In risposta alle dinamiche demografiche negative le contromisure messe in campo sono state soprattutto l’immigrazione e lo spostamento in avanti dell’età di accesso alla pensione. Come confermano analisi e scenari proposti nella recente ricerca pubblicata da Bankitalia, dal titolo “Il contributo della demografia alla crescita economica”, i flussi migratori hanno consentito di ridurre l’impatto negativo di tali squilibri ma da soli “non saranno in grado di invertirne il segno”.
L’altra leva, quella che ha agito sull’età pensionabile, ha favorito un aumento del tasso di occupazione in età matura, ma la maggior presenza di lavoratori senior nel mondo del lavoro deve ancora entrare in una strategia di vera valorizzazione di tale componente. Molte ricerche mostrano come, ancor più che dal fattore tecnologico, il successo delle aziende nei prossimi decenni dipenderà dalla capacità di gestione delle risorse umane. Questo richiede un’azione molto più decisa e incisiva a supporto delle misure di Age management. Più in generale, servono interventi non solo orientati alla riduzione della spesa pubblica ma che prioritariamente sostengano l’aumento effettivo della competitività del sistema produttivo e la crescita dell’economia reale. In questa prospettiva va riconosciuto che senza migliorare le opportunità di occupazione delle nuove generazioni e delle donne, difficilmente l’Italia potrà darsi lo slancio necessario per superare gli squilibri demografici e porsi su un sentiero di solido sviluppo.
Interessante, a questo proposito, è il confronto con la Germania, un paese che presenta una struttura demografica simile alla nostra (conseguenza di un’accentuata denatalità passata), ma che dimostra una diversa capacità di risposta. I dati Eurostat evidenziano come nella cruciale fascia di età 25-29, il tasso di occupazione maschile italiano sia poco sopra il 60 percento mentre si posiziona oltre l’80% in Germania. Il corrispondente tasso femminile è da noi sotto il 50 percento mentre raggiunge il 75 percento per le donne tedesche della stessa età. Negli ultimi anni queste differenze si sono inasprite, mentre si è ridotta la differenza tra occupazione italiana over 55 e media europea.
Potenziare occupazione giovanile e femminile non significa solo rispondere agli squilibri demografici, ma ridurre anche quelli generazionali, di genere e geografici. Non significa solo contrastare disparità e disuguaglianze ma anche, e soprattutto, produrre ricchezza.
Per riuscirci è necessario investire sull’economia reale all’interno di un piano di sviluppo del paese in grado di utilizzare tutte le risorse disponibili, non solo pubbliche, in funzione di obiettivi chiari e condivisi. Fondi pensione complementari e casse professionali possono svolgere un ruolo cruciale in questa direzione. Nelle economie mature più dinamiche i capitali previdenziali rappresentano, infatti, fonti strategiche per alimentare processi di innovazione tecnologica e crescita imprenditoriale, a favore soprattutto delle opportunità dei giovani. Solo imboccando con convinzione e determinazione questa strada sarà possibile far tornare a girare in sintonia demografia ed economia, evitando un declino che sembra irreversibile.

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