L’integrazione non si vede ma va avanti

La vera sfida che l’immigrazione pone al nostro paese, più che sulla quantità degli arrivi – da contenere e regolare – si gioca sulle effettive possibilità di integrazione di chi è già qui.

Siamo continuamente bombardati da notizie e commenti sui nuovi sbarchi, sull’emergenza profughi, sul terrorismo islamico. Il rischio è però quello di perdere di vista la vera sfida che l’immigrazione pone al nostro paese, che più che sulla quantità degli arrivi – da contenere e regolare – si gioca sulle effettive possibilità di integrazione di chi è già qui.
Secondo i dati Istat, la popolazione residente in Italia ad inizio del 2017 era pari a poco più di 60,5 milioni.

Al suo interno gli stranieri sono poco più di 5 milioni, pari all’8,3% del totale dei residenti. Tale componente è alimentata dalle entrate dall’estero e dalle nascite da genitori entrambi stranieri. Nel corso del 2016 gli iscritti all’anagrafe da un altro paese, togliendo gli italiani rientrati, sono stati circa 263 mila, mentre le nascite da padre e madre non cittadini italiani sono state attorno alle 70 mila, pari al 14,7% dei nati totali. Vanno però poi tolti i decessi di stranieri residenti, pari a 6,5 mila e gli stranieri trasferiti all’estero, pari a poco più di 43 mila. Nel saldo vanno anche contati poco più di 120 mila stranieri cancellati d’ufficio (in prevalenza per irreperibilità o scadenza del permesso di soggiorno) e poco meno di 60 mila reinseriti (soprattutto per ricomparsa di chi risultava irreperibile). Molti degli irreperibili (vale anche per i cittadini italiani) sono persone trasferite all’estero che non hanno comunicato il cambiamento di residenza. Difficile dire invece dove finiscono coloro a cui scade il permesso di soggiorno. E’ verosimile che una parte torni nel proprio Paese di origine o emigri altrove per cercare altre opportunità. Una parte, difficilmente quantificabile, rimane invece in Italia andando a ingrossare la parte sommersa del fenomeno migratorio, spesso nella speranza di trovare nuovo lavoro ma anche con alto rischio di esporsi a condizioni di sfruttamento nel lavoro nero e illegalità.
Se c’è chi dalle statistiche dei residenti stranieri in Italia esce arretrando verso lo stato di irregolare, una parte sempre più rilevante ne esce per diventare cittadino italiano. Le acquisizioni di cittadinanza sono state oltre 200 mila nel 2016. Dal punto di vista statistico, mettendo assieme arrivi dall’estero e nascite, togliendo uscite, decessi e considerando aggiustamenti contabili, il numero di stranieri nell’ultimo anno è aumentato di oltre 220 mila persone. Togliendo le acquisizioni di cittadinanza, il saldo finale è di poco più di 20 mila unità. Un valore davvero modesto, che conferma come la presenza regolare straniera in Italia sia rimasta praticamente stabile negli ultimi anni, dopo essere cresciuta in modo esuberante tra l’ultimo decennio del XX e il primo decennio del XXI secolo. Si è passati da 356 mila del censimento del 1991, a 1,3 milioni nel 2001 e a 4 milioni nel 2011. Il dato di 5 milioni è stato superato nel corso del 2014, dopodiché si è rimasti attorno a tale valore. Questa è la componente più rilevante dell’immigrazione, sia in senso statistico sia per l’impatto sulla demografia e sull’economia del Paese. Secondo stime da varie fonti, gli irregolari non arrivano al mezzo milione. Si tratta di un valore non trascurabile, ma molto inferiore agli stranieri regolarmente residenti.
Nel dibattito pubblico si tende invece a dare molta più enfasi alla presenza irregolare e agli sbarchi sulle coste italiane. Questa distorsione deriva da una comprensibile preoccupazione, trattandosi della parte più problematica e complessa dell’immigrazione, ma porta spesso a valutazioni errate del complesso del fenomeno che poi hanno ricadute sul voto e quindi anche sulle scelte politiche.
Cattiva gestione del fenomeno e cattiva informazione vanno ad alimentare l’ostilità verso tutti gli immigrati, rendendo ancora più difficile il processo di integrazione di chi vive da tempo in Italia, lavora, paga le tasse e manda i propri figli a scuola. Un esempio è il corto circuito che si è creato tra la preoccupazione per la crescita continua degli sbarchi e l’approvazione della legge sulla cittadinanza per i figli degli stranieri regolarmente residenti. Si tratta di due realtà molto diverse tra di loro, ma che timori e confusione portano a sovrapporre.
Su oltre un milione di minorenni stranieri residenti in Italia, circa due su tre sono nati in questo Paese. La presenza degli alunni figli di genitori non italiani è salita dal meno del 2% alla fine del secolo scorso a valori superiori al 10%, ma con incidenza molto differenziata nelle diverse province. I dati ci dicono anche che l’immigrazione ha avuto un ruolo rilevante nel compensare la riduzione della popolazione italiana ma ha soprattutto rallentato il processo di invecchiamento demografico. Come conseguenza della giovane età degli arrivi e della maggiore propensione a fare figli, l’età media della popolazione straniera è sensibilmente più bassa rispetto a quella autoctona (34 contro 46 anni). Gli anziani (65 anni o più) sono appena il 4% sul totale degli stranieri mentre si sale al 22% tra gli italiani. Il rapporto tra popolazione anziana inattiva e popolazione lavorativa risulterebbe, quindi, ancor meno sostenibile senza immigrazione.
Secondo i dati del Rapporto “Le molte facce della presenza straniera in Italia” pubblicato dall’AISP-Associazione Italiana di Studi sulla Popolazione (il Mulino editore) gli occupati stranieri sono 2,4 milioni, con un contributo al Pil stimato pari all’8,8%, ma si supera il 15% nei settori dell’agricoltura, delle costruzioni e dell’alberghiero-ristorazione. Un ulteriore dato interessante, relativo al lavoro che crea lavoro, è quello delle imprese con titolare nato all’estero, che risultano pari all’8,7% delle imprese registrate
Vari dati indicano anche che la presenza straniera sta diventando sempre più stabile nel territorio e nel contesto sociale italiano: aumentano i proprietari di casa (raddoppiati dal 2001 ad oggi); crescono i permessi di soggiorno legati ai motivi familiari (da 32,3% nel 2007 a 44,8% nel 2015); sono in forte incremento, come già accennato, le acquisizioni di cittadinanza per naturalizzazione. La stessa diminuzione della fecondità della donne straniere, scesa sotto i due figli (ma abbondantemente sopra la media nazionale, pari a 1,34) può essere letta come un segno di convergenza ai comportamenti e preferenze del paese ospitante. Infine, tra gli alunni nati in Italia il 23,7% si sente straniero, il 47,5% si percepisce italiano, il resto sente proprie entrambe le appartenenze.
Aiutare questi ragazzi e i loro genitori ad integrarsi pienamente, a sentirsi inclusi nei processi di crescita di un paese che riconosce e mette a frutto l’impegno di ciascuno, è la vera sfida da vincere – al di là dell’emergenza sbarchi e del contenimento dei nuovi arrivi – per costruire un paese più sicuro oggi e più prospero domani.

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