L’istruzione rende di più all’estero che in Italia

In molti paesi i giovani hanno reagito alla riduzione delle prospettive occupazionali prodotta dalla crisi aumentando l’investimento in istruzione, mentre ciò non è avvenuto in Italia

Un territorio può crescere e prosperare se mette i propri abitanti nelle condizioni di realizzare, come singoli e come parte di una comunità, obiettivi economici e sociali rilevanti. Tali obiettivi possono essere ottenuti con tanto più successo quanto maggiore è la dotazione di capitale umano del territorio. I processi di sviluppo delle economie avanzate hanno, in particolare, bisogno di formazione di qualità e competenze continuamente aggiornate. Il titolo di studio è una buona misura del capitale umano non solo perché chi ha formazione più elevata parte con un patrimonio maggiore di conoscenze e competenze di base, ma anche perché con più facilità viene immesso in un percorso virtuoso di miglioramento e aggiornamento continuo.

Il legame causale tra capitale umano e sviluppo non è unilaterale, ma di mutua interdipendenza. Da un lato, un sistema produttivo che si espande sui settori più innovativi e competitivi crea domanda di formazione di alto livello; d’altro lato, un miglioramento  del livello di conoscenze e competenze della forza lavoro stimola e alimenta lo sviluppo economico. Ma si può generare anche una spirale negativa: nel caso si riduca il rendimento dell’ istruzione le persone possono essere indotte a investire di meno sulla propria formazione e questo poi limita le possibilità di miglioramento sociale e sviluppo economico futuro.
L’Italia è una delle economie avanzate che più rischiano di scivolare in questo circolo vizioso. Presentiamo infatti una delle percentuali più basse di laureati nella popolazione adulta e negli ultimi anni il tasso di iscrizione all’università dei diciannovenni ha smesso di crescere. Come sottolinea l’Ocse nell’Employment Outlook 2014, in molti paesi i giovani hanno reagito alla riduzione delle prospettive occupazionali prodotta dalla crisi aumentando l’investimento in istruzione, mentre ciò non è avvenuto in Italia. La conseguenza è stata una forte crescita di under 30 nel nostro paese che non studiano e non lavorano.

Il rendimento dell’istruzione è quindi un punto centrale per migliorare sia le prospettive delle nuove generazioni che le possibilità di crescita e competitività di un territorio. Il rendimento non riguarda solo la possibilità di chi ha titolo più elevato di trovare occupazione, ma anche la qualità del lavoro. Il fatto che siamo carenti su entrambi questi punti lo segnala sia il dato sul tasso di occupazione dei laureati under 30 – che risulta sensibilmente più basso rispetto alla media europea – sia l’alta quota di sotto-inquadrati o sovra-qualificati, ovvero di persone che hanno un titolo di studio superiore a quello necessario per l’attività svolta. Questi dati – senza trascurare l’utilità di rafforzare il percorso formativo – suggeriscono in modo evidente come vi sia una forte difficoltà del sistema produttivo nel riconoscere e valorizzare il capitale umano delle nuove generazioni. Mettono però in luce anche una carenza di politiche attive. “Garanzia giovani” e servizi pubblici per l’impiego rispondono soprattutto alle esigenze di inserimento di chi ha basse qualifiche. Soprattutto un contesto come Milano – se vuole mantenere obiettivi economici e sociali ambiziosi – non può accontentarsi di questi strumenti o poco più, ma deve trovare il modo di consolidare e far diventare sistema l’incontro al più alto livello tra domanda e offerta di lavoro.

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