Meno promesse e più fatti sul lavoro dei giovani

Mentre il tasso di disoccupazione giovanile sale, scende la fiducia dei giovani nella possibilità di trovare un lavoro, tanto più se adeguato al livello di istruzione. Forse anche perché le politiche sulla fase di ingresso nel mercato del lavoro si sono spesso rivelate inadempienti e inefficaci.

Il tasso di disoccupazione giovanile, secondo gli ultimi dati pubblicati dall’Istat, è salito al 43,3 per cento. Si tratta dei valori peggiori mai incontrati dalle generazioni del secondo dopoguerra. È bene precisare, visto che molta confusione esiste su questo tema, che il dato si riduce se teniamo conto del fatto che molti a quell’età sono studenti, ma non migliora in senso relativo.

Se infatti il numeratore, che corrisponde a chi cerca attivamente lavoro, lo mettiamo in rapporto a tutti i giovani (e non solo a chi fa parte della forza lavoro) dal 43,3 per cento si scende all’11,9 per cento.
Si ottiene così un valore molto più basso, ma è una magra consolazione perché rimane il peggiore degli ultimi decenni e uno dei più alti in Europa. Lo stesso vale per la quota di Neet (quelli che non studiano e non lavorano). Le cose non migliorano nemmeno se guardiamo ai livelli più elevati di studio. La percentuale di chi a tre anni dal diploma o dalla laurea ha un lavoro è di quasi 20 punti sotto la media UE-27 (Istat, Rapporto Annuale 2014).
Va aggiunto poi che anche la qualità del lavoro si è progressivamente deteriorata. Secondo i dati del “Rapporto giovani” dell’Istituto Toniolo oltre il 45 per cento degli occupati in età 19-30 anni si adatta a svolgere una attività poco coerente con il proprio percorso di studi e quasi uno su due percepisce una remunerazione considerata inadeguata.

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