Rimettiamo i giovani nei nostri radar o rischiamo una generazione fantasma

La Generazione Z è la prima a costruire il proprio percorso lavorativo e di entrata nella vita adulta dopo la discontinuità prodotta dalla pandemia di Covid-19.

Gli attuali under 25 appartengono alla Generazione Zeta. E’ la prima generazione a non aver memoria del XX secolo e a sentirsi del tutto appartenente a quello attuale. Ora però si è aggiunto un altro aspetto che la caratterizza in modo distintivo, ovvero essere la prima a costruire il proprio percorso lavorativo e di entrata nella vita adulta dopo la discontinuità prodotta dalla pandemia di Covid-19.

La combinazione di questi due elementi ne fa una generazione unica, assegnata dalla storia in posizione nevralgica in quello che il XXI riuscirà ad essere rispetto a quanto è stato il Novecento. Aiutare gli Zeta a ridurre le proprie fragilità e riconoscere e valorizzare le proprie potenzialità ha quindi ricadute cruciali su come andrà a definirsi e consolidarsi il modello sociale e di sviluppo nell’Italia nel post pandemia. Attualmente il paese ha concentrato la sua attenzione su quali politiche realizzare per dare un’infrastruttura al paese che, da un lato, superi i limiti del passato e, dall’altro, si ponga in modo coerente con le sfide future poste dalle trasformazioni in atto (in particolare la transizione verde e digitale). Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) è l’esito operativo di questa riflessione.

Ma tutto questo non può essere realizzato come un vestito con tipo di modello e materiale pensati per il cambio di stagione ma senza aver preso misure, caratteristiche e preferenze di chi dovrà indossarlo. L’antropologia delle nuove generazioni deve essere il punto di partenza di ogni riflessione sul futuro del paese, mentre tutto il dibattito pubblico è concentrato su come le aziende possono cogliere le occasioni dei finanziamenti del Pnrr, mentre i giovani devono adattarsi per trovare il lavoro che oggi e domani verrà offerto.

All’interno di questa impostazione l’impatto della pandemia ha accentuato due questioni irrisolte, una sul piano della fragilità e una su quello delle potenzialità delle nuove generazioni.

Riguardo alla fragilità, studi e analisi sui fattori alla base dell’abnorme incidenza di NEET (i giovani che non studiano e non lavorano) nel nostro Paese hanno da tempo messo in evidenza i limiti di tutto il processo di transizione scuola lavoro. La risposta non sta solo nel rafforzamento dei centri per l’impiego su tutto il territorio. C’è anche un deficit di formazione e competenze che caratterizzano l’offerta di lavoro dei ragazzi che escono dal sistema dell’istruzione. Ma ancor più, a fare la differenza rispetto al rischio di trovarsi intrappolati nella condizioni di Neet, è la debolezza delle competenze sociali, ovvero delle life skills. Tutto questo è ulteriormente peggiorato con l’impatto e la durata della crisi sanitaria, con tutte le implicazioni che ha prodotto sulla vita sociale dei giovani, sull’idea di sé e sulla visione del mondo.

I dati del Rapporto giovani 2022, evidenziano come nel suo complesso la pandemia si sia rivelata come una grande esperienza collettiva negativa, che ha eroso in modo marcato le risorse positive interne e le competenze sociali in tutte le dimensioni. A diminuire è in particolare chi afferma di avere (“molto” o “moltissimo”) una “Idea positiva di sé” (che scende da 53,3% del 2020 a 45,9% nel 2022) ma anche chi ha “Motivazione ed entusiasmo nelle proprie azioni” (che nello stesso periodo passa da 64,5% a 57,4%) e chi sa “Perseguire un obiettivo” (che scende da 67,0 a 60,0).

Per superare questa esperienza negativa collettiva ed evitare che diventi corrosiva sono necessarie ora soprattutto esperienze individuali concrete positive. Ma l’offerta di esperienze di questo tipo è diventata ancora più complicata che in passato. Da un lato se l’erosione delle life skills aumenta la necessità di aumentare l’offerta di progetti e iniziative di partecipazione attiva (in ambito sociale e lavorativo) che aiutino a ritrovare il valore dell’essere e del fare con gli altri, d’altro lato la stessa erosione va ad indebolire la capacità di ingaggio e impegno in tali esperienze. Questo soprattutto per chi ha meno risorse socio-culturali di partenza, quindi proprio per chi ne ha più bisogno. Se, quindi, già prima della pandemia molti giovani si trovavano fuori dal radar delle politiche di attivazione, oggi il non farsi rintracciare rischia per molti di diventare intenzionale. Come risposta al bisogno di ritagliarsi un tempo di familiarizzazione con la normalità del presente senza restrizioni e complicazioni, ma che rischia di aumentare il disorientamento e la vulnerabilità se non aiutati a ridefinire coordinate su cui impostare un percorso. Il rischio è che la Zeta diventi una “ghosting generation”, non in fuga, non sconnessa, ma che semplicemente non fornisce segnali di presenza e non voglia nemmeno dare spiegazioni del perché chi la cerca non la trova (non solo nella dimensione affettiva).

Riguardo alle potenzialità, la pandemia ha accelerato anche un cambiamento nel sistema di priorità e ridefinito lo spazio strategico in cui collocare la propria azione come soggetti portatori di novità da riconoscere e valorizzare rispetto al pre-esistente.

Se nella dimensione della fragilità si è ridotta la capacità di leggere e stare nella complessità del mondo, in quella delle potenzialità sono in forte rimessa in discussione le modalità dell’agire nella complessità, il ruolo in cui inserirsi nei processi di cambiamento e produzione di nuovo benessere, quindi anche senso e valore da dare al lavoro.

E’ un cambiamento potenzialmente rivoluzionario, in grado di spostare i rapporti di forza tra domanda e offerta di lavoro. Paradossalmente proprio la debolezza demografica delle nuove generazioni può favorire una maggiore attenzione a ciò che esse, con le loro specificità, sono portate a dare e desiderano essere rispetto a ciò che ci si aspetta debbano conformarsi a fare (spesso con adattamento al ribasso). L’unica possibilità, del resto, per l’Italia di superare i limiti del passato e avviare una fase nuova di sviluppo sulla spinta delle risorse di Next Generation Eu, è quella di portare il sistema paese a riallinearsi al rialzo al meglio del contributo che le nuove generazioni possono dare in coerenza con le loro specificità (riconoscendone fragilità e potenzialità).

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