Ripartire dai giovani per far rinascere il Sud

 

Ora tra i record negativi del Mezzogiorno ci sono anche gli indicatori demografici, tanto che anche per le nascite possiamo dire che se l’Italia è in crisi, nel Sud le cose vanno ancora peggio. Il riscontro lo si vede anche sulla composizione della popolazione. Gli attuali ventenni meridionali sono 235 mila, i ragazzi di 10 anni sono poco più di 200 mila. I bambini di 1 anno sono 175 mila. Il Sud sta quindi diventando sempre più povero di giovani.

«Fino a qualche anno fa, tra i record negativi del Mezzogiorno non c’erano quelli demografici. Storicamente il Sud è stato una riserva demografica per il nostro paese». Così scrivevamo nei primi mesi del 2006 in un articolo su lavoce.info nel quale si mostrava – sulla base dei dati parziali del 2005 – come si stesse chiudendo la lunga epoca in cui l’Italia meridionale era stata una delle aree più feconde d’Europa. Erano le prime evidenze di una rivoluzione della geografia della demografia italiana del tutto imprevista. Basti pensare che le previsioni Istat del 2001 delineavano uno scenario in cui, si legge nel rapporto: il numero medio di figli per donna mantiene «livelli più elevati nelle Regioni tradizionalmente più prolifiche (Campania, Calabria e Sicilia), ai quali corrispondono età medie alla nascita ben al di sotto della media nazionale; per contro, nelle Regioni del Centro-Nord (…) le previsioni del tasso di fecondità totale sono più basse». Pochi anni dopo queste affermazioni la realtà risultava però già molto diversa. Il 2005 è l’anno in cui la secolare forbice tra Sud e Nord si chiude, mentre secondo le previsioni Istat in tale anno il numero di figli per donna avrebbe dovuto trovarsi attorno ad una media di 1,6 figli nel Sud e a 1,2 nel Nord.

Con le previsioni successive l’Istat ha corretto il tiro. L’edizione più recente è quella del 2011 che indica per il 2015 uno scenario in cui la fecondità è pari a 1,44 a livello italiano e di 1,37 nel Mezzogiorno. Il dato effettivo del 2014 è invece stato pari a 1,39 per l’Italia nel suo complesso e a 1,32 per il Sud. Quindi le cose vanno ancora peggio rispetto all’aggiustamento al ribasso fatto dall’Istat.

Il valore reale del 2015 ancora non è noto, ma i dati parziali sinora disponibili delineano un quadro ancor più negativo dell’anno precedente. In un articolo su Neodemos.info uscito a novembre 2014 a commento del bonus bebè previsto dal Governo Renzi, avevamo evidenziato come il numero delle nascite fosse sceso nel 2013 a valori più bassi di sempre dall’Unità d’Italia ad oggi. Nel 2014 l’ammontare dei nati è poi risultato ancora più basso, tanto che l’Istat stesso, per evidenziare il record negativo, ha sottolineato che mai avevamo fatto così pochi figli dal 1861 in avanti. Va inoltre aggiunto che dal 2007 il saldo naturale, ovvero la differenza tra nascite e decessi, è diventato sistematicamente negativo. Nel 2014 con 503 mila nascite e 598 mila decessi il bilancio è andato in rosso per quasi 100 mila unità. I dati parziali del 2015 non sono incoraggianti e sembrano anzi ancora peggiori. Se si confermasse l’andamento dei primi otto mesi di tale anno si scenderebbe a meno di 500 mila nascite e più di 650 mila decessi.

Nel 1995, anno in cui i percorsi di Nord e Sud hanno iniziato a divergere, erano nati in Italia 526 mila bambini, di questi il 44 percento nel Mezzogiorno. Sulla base dei dati parziali del 2015 il contributo del meridione alle nascite è sceso al 35 percento. Se inoltre fino a qualche anno fa la fecondità settentrionale risultava superiore a quella meridionale solo aggiungendo il contributo delle donne immigrate, dal 2014 non è più così. Se scorporiamo le donne straniere, il numero medio di figli risulta pari a 1,32 nel Nord e a 1,29 nel Sud. Insomma ora tra i record negativi del Mezzogiorno ci sono anche gli indicatori demografici, tanto che anche per le nascite possiamo dire che se l’Italia è in crisi, nel Sud le cose vanno ancora peggio. Il riscontro lo si vede anche sulla composizione della popolazione. Gli attuali ventenni meridionali sono 235 mila, i ragazzi di 10 anni sono poco più di 200 mila. I bambini di 1 anno sono 175 mila. Il Sud sta quindi diventando sempre più povero di giovani.

Come abbiamo detto, l’affossamento della natalità del Sud sotto i livelli nazionali è un processo iniziato ben prima della recessione, ma che la congiuntura economica ha contribuito sensibilmente ad aggravare. Queste dinamiche fanno parte di un processo più generale di mutamento della relazione tra economia e demografia. Nel passato le aree in Europa in cui erano più elevati i livelli di occupazione e benessere economico non erano necessariamente quelle in cui la fecondità era più abbondante. Negli ultimi decenni il legame positivo è invece diventato sempre più forte ed evidente anche all’interno del territorio italiano. Dove migliori sono oggi le opportunità di lavoro per i giovani, più avanzate sono le misure di conciliazione tra lavoro femminile e famiglia, maggiore è la fiducia verso prospettive di crescita, più basso risulta anche il divario tra numero di figli desiderato e quello effettivamente realizzato. L’indagine “Rapporto giovani” dell’Istituto Toniolo mostra come anche nelle nuove generazioni, il numero di figli che si vorrebbe avere sia superiore ai due. Tale valore risulta più elevato nel Sud rispetto al Nord, ma le difficoltà oggettive maggiori che i giovani meridionali incontrano nel loro percorso di vita e professionale li inducono poi a rivedere più facilmente al ribasso i propri obiettivi.

Il rischio è quello di sprofondare in una spirale negativa di “degiovanimento” quantitativo e qualitativo della società. Non investire sulle nuove generazioni porta ad una riduzione delle loro prospettive nel luogo in cui vivono. Partecipano di meno al mercato del lavoro, rimangono più a lungo dipendenti dai genitori, si accontentano di svolgere lavori in nero o sottopagati, oppure se ne vanno altrove. Chi rimane riesce a fare molto meno rispetto ai propri desideri e alle proprie potenzialità. Fornisce un contributo produttivo e riproduttivo più basso. Così l’economia non cresce e non si formano nuove famiglie. Questo porta ulteriormente le nascite a diminuire e la popolazione ad invecchiare, con risorse sempre più scarse da redistribuire e conseguente aumento delle diseguaglianze. La carenza di prospettive porta i giovani ad andare altrove già nella fase di formazione o a rinunciare ad investire sulla propria istruzione. I dati sul calo delle iscrizioni universitarie sono un ulteriore segnale di allarme coerente con il quadro qui delineato.

Se si vuole tornare a far fiorire il Sud bisogna tornare a seminare, ovvero a curare e coltivare il terreno più fertile, che sono i giovani. Ci sono evidenze – con esempi anche in aree del mezzogiorno – che dove si fa si ottengono buoni frutti. Si deve fare e si può fare, ma non necessariamente si farà senza una volontà forte della classe dirigente.

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