Un approccio sistemico per riequilibrare la società italiana

Demografia e sviluppo

Nelle società mature avanzate se si desidera che le nascite diminuiscano non è necessario mettere in atto nessuna azione di disincentivo, basta semplicemente non realizzare politiche efficaci di sostegno alla libera scelta di avere un figlio.

Se n’è accorta la Cina che dopo aver imposto una drastica riduzione della fecondità, con la politica del figlio unico adottata a fine anni Settanta, ora si trova con il problema opposto. Ovvero con una demografia che sta diventando freno per lo sviluppo economico e fattore di indebolimento del sistema sociale (per l’invecchiamento della popolazione e la riduzione della forza lavoro potenziale). Ma ha scoperto che non basta togliere il divieto di avere figli per ottenere un aumento delle nascite. Preferenze e aspettative dei cittadini sono cambiate e anche le condizioni in cui le scelte riproduttive vengono esercitate sono diverse nel XXI secolo rispetto al passato. Per invertire la tendenza negativa delle nascite servono politiche in grado di rispondere positivamente a desideri ed esigenze delle persone.

Ma ben prima della Cina se n’è accorta l’Italia. A metà anni Settanta eravamo uno dei paesi occidentali con più alta fecondità. A fine anni Ottanta siamo diventati il paese con più basso numero medio di figli al mondo. Altri paesi occidentali, adottando politiche familiari più solide, hanno evitato di scendere così in basso. Altri ancora, grazie a un rafforzamento delle misure a sostegno delle scelte e delle responsabilità genitoriali, da valori bassi sono riusciti ad invertire la tendenza.

Lo spazio strategico nel quale le politiche possono agire è il divario tra numero di figli desiderato e numero effettivamente realizzato. L’Italia presenta uno dei gap più ampi, con il primo valore vicino a due (che corrisponde anche alla soglia di equilibrio tra generazioni) e il secondo pari a 1,25. Nessun paese maturo avanzato ha visto ridursi tale divario senza mettere in campo misure solide e strumenti efficaci di sostegno alla natalità. Vale, piuttosto, il contrario: il numero desiderato può ridursi nei contesti in cui la carenza di politiche e di attenzione pubblica porta a consolidare il messaggio che la nascita di un figlio non è considerata un valore sociale ma solo un costo e una complicazione a carico dei genitori. E’ quello che rischia il nostro Paese.

Le nuove generazioni, in ampia maggioranza, desiderano dei figli ma si sentono anche libere di scegliere diversamente. Non sentono di doverne avere per un imperativo biologico o morale, ma hanno il desiderio di condividere con essi il piacere di vederli crescere in un contesto di sicurezza, con adeguate opportunità e benessere. Se, da un lato, cresce l’instabilità lavorativa e delle relazioni, e, dall’altro, aumentano i costi di un figlio e le complessità dell’organizzazione tra tempi di vita e di lavoro, non c’è da stupirsi che i giovani diventino ipercauti nel formare una famiglia e nell’assumersi responsabilità genitoriali. Anche quando desiderato, in assenza di condizioni adeguate, l’arrivo di un figlio diventa una scelta continuamente rinviata fino a diventare una rinuncia.

La carenza di politiche a sostegno delle nascite rende, inoltre, sempre più stretto il margine su cui tali politiche possono agire per invertire la tendenza. Sia perché la denatalità va via via a ridurre le generazioni che entrano nella vita adulta, sia perché si indebolisce la progettazione e la realizzazione delle loro scelte genitoriali.

Non si può nemmeno pensare che queste carenze si possano compensare solo con l’immigrazione: un territorio che non offre adeguate condizioni di valorizzazione e di sostegno progettuale agli autoctoni difficilmente diventa attrattivo per giovani dinamici e qualificati dall’estero.

Se vogliamo che l’Italia sia il paese in Europa in cui maggiormente le nuove generazioni si adattano a non avere figli, siamo ben avviati sulla strada giusta. Se non si agisce urgentemente con politiche condivise ed efficaci questo destino non avrà alternative e sarà possibile solo rispondere con misure che alleviano le conseguenze degli squilibri anziché ridurli.

Se invece vogliamo scongiurare questo scenario serve una visione sistemica del ruolo che tali politiche devono avere. L’Italia non è solo uno dei paesi in Europa con più persistente denatalità e accentuati squilibri demografici, ma anche con ampie diseguaglianze sociali, generazionali e di genere. Sulle nuove generazioni non grava solo l’insicurezza lavorativa ma sono sempre più sensibili ai diritti individuali e verso la salute del pianeta.

Ne deriva una forte esigenza di politiche che partano da una lettura integrata della realtà che cambia e delle sfide che pone, per fornire strumenti che consentano di collocare le scelte delle persone all’interno di processi che generano valore collettivo e contribuiscano ad uno sviluppo sostenibile in modo integrato.

Le politiche familiari di sostegno alla natalità – per aver successo e rafforzare la vitalità del paese all’interno di un processo che migliora la qualità del futuro comune – hanno bisogno di essere “condivisive” all’interno di un approccio sistemico e integrato che possiamo sintetizzare in 7 punti.

  1. Riducono gli squilibri a sfavore delle nuove generazioni. Ovvero favoriscono un rapporto sostenibile tra nuove e vecchie generazioni, come base di miglior benessere in tutte le fasi della vita.
  2. Sono rivolte a tutti coloro che nascono, che vivono e crescono in Italia.
  3. Aiutano a ridurre le diseguaglianze alla nascita.
  4. Si inseriscono in modo positivo con la possibilità di realizzazione di entrambi i genitori nel mondo del lavoro, promuovendo sia conciliazione che condivisione.
  5. Interagiscono positivamente con scelte consapevoli e responsabili della transizione dei giovani alla vita adulta.
  6. Hanno alla base il presupposto che la scelta di avere e di non avere figli sono allo stesso modo libere e legittime.
  7. Sono in sintonia con gli obiettivi dello sviluppo sostenibile (indicati nell’Agenda 2030) e coerenti con un ricambio generazionale che non va ad aumentare il peso demografico sul pianeta.

Riguardo a quest’ultimo aspetto, va precisato che l’Italia è tra i paesi che meno se ne devono preoccupare. Per la struttura per età fortemente invecchiata che la caratterizza, anche nello scenario più favorevole (con fecondità che raggiunge i livelli più alti in Europa), la popolazione italiana non tornerebbe a crescere, ma diventerebbero meno critici gli squilibri interni tra generazioni.

L’auspicio è che politiche coerenti con questi sette punti possano diventare una priorità trovando il sostegno di tutti (trasversale ai partiti, allargato alle aziende e alla società civile) in ragione di ciò che ci accomuna nel costruire un futuro con basi più solide e che favorisce uno sviluppo sostenibile nel suo senso più ampio.

“Per ulteriori approfondimenti: LA QUESTIUONE DEMOGRAFICA ITALIANA IN 5 DOMANDE E RISPOSTE

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