Una transizione debole verso il futuro senza i giovani

Per uscire dalla spirale negativa che frena il ruolo attivo delle nuove generazioni è necessario cambiare strategia di sviluppo del paese, non costringendo i giovani ad adattarsi al ribasso a quello che il nostro paese oggi offre, come fatto sinora, ma consentendo all’Italia di crescere al meglio di quanto le nuove generazioni possono dare.

Se non cogliamo l’occasione per costruire un paese migliore dopo la discontinuità prodotta dalla pandemia – attraverso capacità di visione e impegno collettivo – sicuramente peggioreremo e di molto. L’impatto della crisi sanitaria sta rendendo ancor più pesanti alcuni squilibri che erano già su livelli record del nostro paese: in particolare sul versante finanziario (debito pubblico), demografico (denatalità) e sociale (accesso a opportunità e benessere). Ma la crisi in corso sta ulteriormente indebolendo i percorsi formativi e lavorativi, in particolare delle nuove generazioni.

Da troppo tempo il nostro paese si è avvitato in una spirale negativa di “degiovanimento” quantitativo e qualitativo. Non investire sulle nuove generazioni porta ad una riduzione delle loro prospettive nel luogo in cui vivono. Partecipano di meno al mercato del lavoro, rimangono più a lungo dipendenti dai genitori, si accontentano di svolgere lavori in nero o sottopagati, oppure se ne vanno altrove. Chi rimane riesce a fare molto meno rispetto ai propri desideri e alle proprie potenzialità. Fornisce un contributo produttivo e riproduttivo più basso. Così l’economia non cresce e non si formano nuove famiglie. Questo porta ulteriormente le nascite a diminuire e la popolazione ad invecchiare, con risorse sempre più scarse da redistribuire e conseguente aumento delle diseguaglianze. Purtroppo l’Italia è uno dei paesi avanzati che più si avvicinano a questo ritratto.

Se per lunga parte della storia del nostro Paese le solide coorti di trentenni, quarantenni e cinquantenni hanno dato solidità alla vita attiva del Paese – garantendo nel complesso una sostanziale tenuta economica e sociale – questo ora non è più vero e lo sarà ancor meno nei prossimi anni L’accentuata e persistente denatalità sta, infatti, facendo sempre più sentire i suoi effetti a partire dalle coorti più giovani. I dati Istat ci dicono che le attuali fasce d’età 50-59 e 40-49 presentano un ammontare a tutt’oggi ancora robusto (entrambe attorno ai 9 milioni), mentre quella dai 30 ai 39 anni risulta crollata su valori notevolmente più bassi (ben sotto i 7 milioni). Nei prossimi dieci anni vedremo una caduta analoga dei quarantenni e successivamente dei cinquantenni. Nel frattempo, però, i trentenni risulteranno ulteriormente scesi (si veda il report “Un buco nero nella forza lavoro italiana” pubblicato dal Laboratorio futuro dell’Istituto Toniolo).

Detto in altre parole, stiamo attraversando una fase unica della nostra storia di riduzione quantitativa delle giovani generazioni che sono in transizione verso le età centrali della vita attiva e produttiva. Una transizione debole dal punto di vista quantitativo, ma che si combina anche con indicatori su livelli formativi e condizioni occupazionali tra i peggiori in Europa. Con a sua volta ricadute di indebolimento della formazione di nuovi nuclei familiari – accentuata anche dalla carenza di strumenti di conciliazione tra lavoro e attività di cura – che va ad aumentare ulteriormente gli squilibri demografici.

Ma proprio da questa transizione dipende la capacità nei prossimi anni di produrre nuova ricchezza, di rendere sostenibile un debito pubblico record, di poter continuare a finanziare il sistema di welfare in una popolazione che invecchia, di alimentare gli stessi processi innovativi alla base della transizione digitale e verde.

Per uscire dalla spirale negativa che compromette tale transizione è necessario cambiare strategia di sviluppo del paese, non costringendo i giovani ad adattarsi al ribasso a quello che l’Italia oggi offre, come fatto sinora, ma consentendo all’Italia di crescere al meglio di quanto le nuove generazioni possono dare (approccio al centro del mio libro “Il futuro non invecchia”, Vita e Pensiero, 2018).

Al di là dei livelli attuali di disoccupazione e sottoccupazione quello che pesa sui giovani, infatti, è soprattutto il non sentirsi inseriti in processi di crescita individuali e collettivi, ovvero inclusi in un percorso che nel tempo consenta di dimostrare quanto si vale e di veder riconosciuto pienamente il proprio impegno e il proprio valore (indipendentemente dal genere, dalla famiglia e dal territorio di provenienza).

Purtroppo, in questi lunghi mesi le nuove generazioni non sono state messe al centro di un dibattito pubblico che abbia come fine il confronto su come costruzione un nuovo progetto di sviluppo. I giovani al centro del maggior interesse dei mass media sono stati quelli delle risse per strada, degli episodi di violenza e autolesionismo. Indice chiaro del fatto che il mondo adulto, ancor più in Italia, continua ad essere molto più portato a giudicare che a capire. Ed è per questo che facciamo così tanta fatica ad interpretare nel modo più autentico lo spirito di Next Generation Eu. Non abbiamo capito che la risorsa più preziosa per crescere è la “Next Generation” stessa, ovvero i singoli membri della generazione che si prepara a farsi parte attiva all’interno dei processi di produzione di benessere dei prossimi anni e decenni. I finanziamenti europei servono per attivare al meglio tali risorse, metterle nelle condizioni di dare i propri migliori frutti.

Uno dei segnali più interessanti in questa direzione è la mobilitazione dei giovani stessi che ha portato alla campagna #unononbasta, frutto di un percorso che è arrivato a proporre un position paper sulle

da parte di una rete ampia di associazioni giovanile, con il fine di potenziare le proposte del Piano nazionale di ripresa e resilienza del Governo sulle voci che riguardano il ruolo attivo delle nuove generazioni. Sia chiaro, se dalla discontinuità della pandemia l’Italia non riparte dai giovani non va da nessuna parte.

(Articolo pubblicato su DdP196/marzo2021, la rivista di AIDP)

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