Under 25 in via d’estinzione. Il vecchio continente sta diventando una profezia

Se mai in passato il nostro continente ha avuto così tanti abitanti come oggi, è anche vero che mai nella storia moderna è stato relativamente così piccolo rispetto al resto del mondo.

 

Se in una carta geografica si rappresenta l’estensione di un’area in base al peso della popolazione, nel planisfero del 1950 l’Europa si troverebbe ad occupare oltre il 20% di tutta la superficie terrestre. La versione dinamica di questo particolare cartogramma farebbe vedere come all’inizio del XX secolo tale spazio fosse ancora maggiore, arrivato a superare il 25%. Se invece ci si sposta verso il presente, si nota che l’Europa si riduce fino a dimezzarsi. Il valore attuale è infatti inferiore al 10%. Se mai in passato il nostro continente ha avuto così tanti abitanti come oggi, è anche vero che mai nella storia moderna è stato relativamente così piccolo rispetto al resto del mondo.

Le dinamiche della popolazione europea in relazione a quella globale possono essere distinte in tre fasi. La prima è quella in cui cresce sia in valore assoluto che relativo. Tale fase è stata favorita dal fatto che proprio dall’Europa sono state avviate le tre grandi rivoluzioni, fortemente interdipendenti tra di loro, che hanno cambiato il modo di vivere dell’umanità su questo pianeta. Si tratta della rivoluzione scientifica, della rivoluzione industriale e della transizione demografica. Grazie alla loro azione combinata: diminuiscono di intensità e frequenza le grandi epidemie, si esce da una economia di sussistenza, aumenta l’attenzione verso l’igiene e la salute pubblica, si riduce la mortalità infantile e via via anche nelle successive fasi della vita. L’esito è una popolazione che triplica tra il 1750 e la vigilia della Grande guerra passando da meno di 150 milioni a quasi mezzo miliardo. La pressione demografica alimenta inoltre grandi emigrazioni che portano gli europei a popolare anche il resto del mondo. Il vantaggio competitivo in cui si trova l’Europa rispetto alle tre rivoluzioni porta ad una influenza su tutto il pianeta ben maggiore rispetto al peso demografico.

Nel corso del XX secolo la crescita rallenta, non tanto per l’impatto dei due conflitti mondiali ma per il processo di riduzione della fecondità che va a completare la transizione demografica europea. La transizione, nel contempo, prende avvio anche negli altri continenti, con la progressiva riduzione della mortalità che alimenta una propria interna spinta demografica. Si entra quindi nella seconda fase, quella in cui gli abitanti del nostro continente continuano ad aumentare ma con ritmo sempre più lento rispetto al resto del pianeta.

L’entrata nella terza fase si colloca, invece, proprio negli anni che stiamo vivendo. Poco prima dell’impatto della pandemia di Covid-19 gli abitanti del vecchio continente risultavano poco sotto i 750 milioni e poco sotto i 450 milioni nell’Unione europea. Il percorso di crescita, anche in termini assoluti, di fatto è concluso. La variante centrale delle proiezioni della Nazioni Unite con base 2019, indica una perdita, pur con flussi migratori consistenti in entrata, di oltre 100 milioni di abitanti nel corso del resto del secolo. Nel cartogramma in cui i vari paesi sono rappresentati con il proprio peso demografico, lo spazio dell’Europa si restringe ulteriormente fino a occupare poco più del 5 percento: da oltre un abitante del pianeta su quattro concentrato in questo continente ad inizio del secolo scorso si precipita a circa uno su venti all’inizio del successivo.

Ma più che il declino della popolazione le sfide da gestire nei prossimi decenni riguardano gli squilibri inediti nei rapporti per età e tra varie aree del pianeta. Se nel 1950 figuravano quattro paesi europei tra i dieci più popolati al mondo (Russia, Germania, Regno Unito, Italia) con Francia all’undicesimo posto. Oggi il paese dell’Unione europea con posizione più elevata è la Germania, che si trova in diciannovesimo posizione. La Russia, attualmente al nono posto, è destinata a scendere al quattordicesimo prima della metà di questo secolo. Opposte sono, invece, le dinamiche di molti paesi africani. La Nigeria, in particolare, dalla quindicesima posizione nel 1950 è salita ala settima ed è prevista raggiungere il terzo posto entro il 2050, superando gli Stati Uniti d’America e posizionandosi subito dopo Cina e India. Va notato che compensando il processo di riduzione della popolazione con un rafforzamento del processo di consolidamento politico interno, gli Stati Uniti d’Europa si collocherebbero attualmente al terzo posto e rimarrebbero comunque nei dintorni di tale posizione nel corso del XXI secolo. Un riscontro interessante viene del medagliere dei giochi olimpici di Tokyo. Nessun paese membro dell’Unione è nelle prime cinque posizioni. Presentandosi, invece, in modo compatto – pur tenendo conto del minor numero di atleti rispetto alla somma dei singoli stati – avrebbe le potenzialità per raggiungere la posizione più elevata.

I diversi ritmi di crescita sul territorio interagiscono, inoltre, con l’evoluzione differenziata nelle varie fasce d’età. L’età ha un ruolo cruciale sull’organizzazione sociale e nello sviluppo economico. Se a parità di tutti gli altri fattori in un paese ci fossero solo giovani (under 25) e in un altro solo anziani (over 75), osserveremmo in tali due contesti problemi analoghi nel produrre ricchezza ma modi e condizioni di vita ben diversi. Rimane, in ogni caso, il fatto che il tempo agisce a favore del primo di tali due paesi.

L’Europa somiglia sempre più al secondo: gli over 75 da 15 milioni del 1950 sono oggi circa 65 milioni e sono previsti, anche tenendo conto dell’impatto della pandemia, superare i 100 milioni prima della metà del secolo. Viceversa, gli under 25 si sono ridotti ancor più rispetto alla popolazione totale. Il loro declino è iniziato già a partire dagli anni Settanta del Novecento: erano 270 milioni circa (oltre il 40% della popolazione del continente) mentre sono oggi meno di 200 milioni (pari al 26%). Alla fine di questo secolo saranno poco più di 150 milioni e rispetto alla popolazione giovane mondiale (la “next generation”) avranno un peso inferiore al 5%. Viceversa, gli under 25 africani sono oggi quattro volte i coetanei europei e rappresentano il 25% dei coetanei di tutto il mondo.

La pandemia rischia di peggiorare ulteriormente gli squilibri demografici del vecchio continente per l’impatto sulle dinamiche della natalità, che già risultavano più negative delle attese negli anni precedenti la crisi sanitaria. Sempre secondo le previsioni delle Nazioni Unite il numero medio di figli per donna in Europa avrebbe dovuto mantenersi sopra 1,6 per poi salire a 1,7 nel 2040. Il valore dell’Unione è stato invece pari a 1,53 nel 2019. Rimanere così sotto la soglia di equilibrio generazionale (come noto attorno a 2) significa non solo accentuare il declino demografico ma alimentare squilibri destinati a diventare sempre più profondi.

Diventa ora importante capire quali risposte verranno date per sostenere in modo solido un rilancio di vitalità dopo la pandemia. Quello che è certo è che la nuova stagione di sviluppo dell’Europa si troverà con il fiato corto se si pretenderà di realizzarla ignorando la questione demografica.

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