Active Aging, i “giovani anziani” di cui non possiamo fare a meno

04/08/2017
Morning Future
Active Aging, i “giovani anziani” di cui non possiamo fare a meno Morning Future

Entro il 2030 gli over 65 in Italia saranno 3,5 milioni in più. Una nuova regione grande quanto la Toscana popolata solo da anziani. O meglio, “giovani anziani”, definizione usata dal team di sociologi, demografi e psicologi dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, per definire quella fascia compresa tra i 65 e i 74 anni che include coloro che non sono più giovani ma nemmeno grandi anziani. Sono loro i protagonisti del cosiddetto active aging. Ovvero: l’invecchiamento attivo. Se gli anziani non sono più solo anziani, anche l’invecchiamento non sarà più lo stesso.

«Entro il 2020 ci saranno due over 65 ogni under 15», spiega Alessandro Rosina, demografo dell’Università Cattolica. Ma «la soglia in cui si entra nell’età anziana e si esce da quella adulta è slittata in avanti». Solo dopo i 75 anni comincia l’età in cui si è anziani dipendenti da qualcun altro. Prima esiste un interregno in cui sono diffuse attività di ogni tipo, legate alla famiglia, al volontariato ma anche al lavoro. Molti dei giovani anziani (83,3%) sono pensionati, ma alcuni lavorano ancora. La scelta di lavorare, nonostante la pensione, non è legata solo a un’esigenza di tipo economico, ma è dovuta spesso anche alla consapevolezza che la produttività lavorativa porti anche a un migliore invecchiamento.

Non solo. Con l’aumento della longevità e lo spostamento in avanti dell’età pensionabile, si assiste anche a un profondo invecchiamento della forza lavoro. La fascia d’età in cui più è cresciuta l’occupazione in questi anni, per l’effetto combinato dell’invecchiamento della popolazione e della riforma Fornero sulle pensioni, è proprio quella over 50.

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