Diamo ai giovani la possibilità di costruire nuove famiglie

In una prima fase – sostanzialmente fino alle generazioni nate a metà degli anni Cinquanta – la riduzione delle nascite è avvenuta attraverso una convergenza verso i due figli per coppia: valore attorno a cui si è consolidato il modello di riferimento nelle preferenze di coppia e che sostanzialmente corrisponde all’equilibrio nel rapporto tra generazioni nei paesi con bassa mortalità. In una seconda fase – a partire soprattutto dalle generazioni entrate nella vita adulta dalla metà degli anni Settanta in poi – si riscontra un processo di rinvio e riduzione delle nascite molto più accentuato rispetto al resto d’Europa. La Svezia, ad esempio, ha anticipato i cambiamenti nella formazione delle unioni di coppia e nelle opportunità di occupazione femminile, ma ha continuato a mantenere – grazie allo sviluppo di adeguate politiche di sopporto all’autonomia giovanile e alla conciliazione tra famiglie e lavoro – un numero di figli per coppia vicino a 2 anche per le generazioni nate negli ultimi decenni del XX secolo e diventate adulte nel XXI secolo. Mentre le stesse generazioni italiane sono scese sotto la media di 1,5 figli.

Welfare e benessere riducono la forza della crisi demografica

Ciò che rende dinamica una popolazione non è tanto l’aumento o la diminuzione degli abitanti, ma lo sviluppo delle fasi della vita, il succedersi delle generazioni e il rapporto in evoluzione tra di esse. Il declino e gli squilibri demografici sono, piuttosto, la conseguenza di quello che non funziona nei meccanismi che generano benessere lungo il corso della vita e nelle relazioni intergenerazionali. Il sistema di indicatori provinciali pubblicati ogni anno dal Sole 24 Ore sulla qualità della vita nelle diverse fasce d’età (Bambini, Giovani e Anziani), arrivato alla quinta edizione, risulta quindi particolarmente prezioso.

Serve una formazione solida e continua per una società della longevità sostenibile

Non può esserci una buona longevità senza adeguata lungimiranza. Non è possibile governare positivamente i cambiamenti demografici se non si adotta un orizzonte generazionale. Mancano 25 anni al 2050, il che significa che la metà di questo secolo non è un punto generico del futuro, ma il luogo concreto in cui andranno a vivere in età adulta gli attuali giovani e in età matura avanzata gli attuali adulti. E non c’è nessuna possibilità di vivere bene in tale luogo se i pochi 15-24 anni non si troveranno ad essere 40-49enni ben formati e ben inseriti nel mondo del lavoro, oltre a fare in modo che gli attuali 40-49enni arrivino nella fascia 65-74 attivi e in piena salute.

Il secolo della forza lavoro in declino

La popolazione mondiale non è mai cresciuta in modo così differenziato nelle varie fasce d’età e nelle diverse aree del mondo. Questa crescita disomogenea è dovuta ai diversi tempi in cui si sta realizzando la transizione demografica e ai differenti livelli degli indicatori demografici raggiunti nella fase avanzata di tale processo.

Uno degli esiti principali della transizione è la riduzione a livelli molto bassi dei rischi di morte dalla nascita fino alla fine dell’età lavorativa (e oltre). Il secondo grande cambiamento è la diminuzione della fecondità. Nel 1950 il tasso di fecondità mondiale era di circa 5 figli per donna, mentre è oggi pari a 2,3. Se il tasso di fecondità si stabilizza attorno ai 2 figli, la popolazione in età lavorativa trova una sua configurazione solida e stabile: la base demografica perde la configurazione a piramide e assume una forma rettangolare, con coorti che entrano in età lavorativa equivalenti a quelle che escono.

La qualità del lavoro over 50 che rende sostenibile il futuro

La sfida principale che l’Italia sta oggi affrontando è l’invecchiamento della forza lavoro. Non ci sono mai stati nelle aziende e nelle organizzazioni italiane così tanti over 50. Alla base di questo cambiamento, particolarmente accentuato nel nostro paese, ci sono due fattori concomitanti. Il primo, in comune con il resto delle economie mature avanzate, è il fatto positivo del vivere sempre più a lungo. Se è vero che un sessantenne oggi non può avere le stesse condizioni fisiche di quando aveva quarant’anni, è allo stesso tempo vero che ha maggiori possibilità di essere in salute e attivo rispetto a un sessantenne di vent’anni fa. Il secondo fattore è la riduzione quantitativa delle nuove generazioni. La transizione demografica non porta solo ad un aumento della longevità ma anche ad una riduzione della natalità. Il numero medio di figli per donna va in tutto il mondo ad abbassarsi. Nel 1950 il tasso di fecondità globale era attorno a 5 figli, oggi è meno della metà, entro il secolo scenderà a 2. Tutta l’Europa è già oggi sotto tale livello e l’Italia è il paese che da più lungo tempo si trova sotto 1,5. Gli attuali under 40 sono nati nel periodo in cui l’Italia è entrata nella fase di ricambio generazionale gravemente insufficiente, pertanto più degli altri paesi vede indebolirsi la componente più giovane della forza lavoro.