La qualità del lavoro salva le società del rinnovo generazionale debole

Il recente Rapporto annuale dell’Inps somiglia molto ad una rassicurante comunicazione dal ponte di comando ai passeggeri quando il rischio di trovare sulla rotta un iceberg è elevato ma per il momento tutto procede tranquillamente e non c’è nulla di preoccupante in vista. I resoconti del naufragio del Titanic dicono che l’iceberg fu avvistato quando si trovava approssimativamente a 500 metri di distanza. Venne subito ordinata una manovra di emergenza con virata a sinistra, ma, a causa della grande massa della nave, non fu sufficiente ad evitare la collisione. La demografia ha una propria inerzia analoga a quella di una grande nave. Più aspettiamo a fare le operazioni che servono, più alto è il rischio di andare incontro ad un destino nefasto. All’interno del territorio italiano ci sono già contesti in tale situazione. Alcune aree interne del nostro Paese si trovano con una combinazione di bassa natalità, fuoriuscita netta di giovani, struttura demografica compromessa, da non aver più margine per cambiare la rotta che porta verso l’insostenibilità sociale ed economica.

Un’Italia vecchia, tre volte debole

Il nostro paese soffre di tre grandi problemi che frenano lo sviluppo sostenibile e inclusivo, ponendoci in condizione di svantaggio competitivo rispetto alle altre economie mature avanzate.
Il primo è quello degli squilibri demografici. Tutto il mondo sta andando verso una natalità insufficiente a garantire un equilibrio nel rapporto tra vecchie e nuove generazioni. Esiste, in ogni caso, un’ampia differenza tra un paese come la Francia, che per lungo tempo ha mantenuto un numero medio di figli per donna vicino a due (recentemente sceso a 1,7) e l’Italia che da quarant’anni ha un valore inferiore a 1,5 (recentemente sceso a 1,2). Ne consegue che se la Francia si trova come l’Italia con una popolazione anziana in spiccato aumento, grazie alla longevità, può però contare su una forza lavoro potenziale che rimane solida, mentre quella italiana va verso una drastica riduzione per l’entrata in età attiva di generazioni via via sempre meno numerose.

Così la generazione Egonu ci porta al G7 dello sport

Le Olimpiadi di Parigi appena concluse confermano un posizionamento dell’Italia all’interno del G7 delle potenze sportive. Se si considera la classifica rispetto al totale delle medaglie (oro, argento, bronzo) – adottando il criterio in uso negli Stati Uniti e in altri paesi – l’Italia si posiziona al settimo posto, dopo la Gran Bretagna. Seconda tra i paesi dell’Unione europea, dopo la Francia (paese ospitante) e sopra Germania e Paesi Bassi (con rispettivamente 7 e 6 medaglie in più). Tutto questo non prendendo in considerazione i quarti posti (di cui l’Italia ha fatto ampia incetta).
Se ci si limita alla sola classifica degli ori entriamo comunque nella top ten (più precisamente al nono posto), sugli stessi livelli della Germania (12 medaglie). In Europa ci superano solo Francia e Paesi Bassi. Insomma il bilancio italiano ai Giochi olimpici di Parigi può dirsi senz’altro positivo.

LE NUOVE GENERAZIONI PIU’ INDECISE CHE DISINTERESSATE: LA UE RESTA CENTRALE

L’Europa, pur con tutti i suoi limiti, rappresenta un punto di riferimento importante per i giovani italiani. Con l’impatto della Grande recessione, la successiva austerity, l’uscita del Regno Unito, l’immagine si era un po’ sbiadita. E’ però anche vero che molti giovani europei si erano riconosciuti nel voto dato in maggioranza dagli under 30 inglesi per la permanenza nell’Unione, sovrastato da quello contrario delle generazioni più mature.
Un’Unione da ripensare e rilanciare è ciò che soprattutto vorrebbero, in coerenza con il nuovo secolo e con le aspettative delle nuove generazioni, non certo trovarsi ad essere la generazione che eredita un progetto fallito.