Coronavirus, l’impatto maggiore è sui giovani. Parla il prof Rosina

29/03/2020
FORMICHE.NET
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Se è vero che il contagio dovuto al Coronavirus colpisce in gran parte le generazioni più anziane, tuttavia non senza eccezioni, è altrettanto vero che le generazioni più giovani non possono stare per niente tranquille. Le ricadute di tipo economico e sociale rischiano infatti di farsi sentire anche, e forse soprattutto, sui più giovani. Di questo Formiche.net ne ha parlato con il prof. Alessandro Rosina, docente di Demografia presso l’Università Cattolica di Milano e autore del libro “Il futuro non invecchia” (Vita e Pensiero, 2018).

Professore, in questi terribili giorni vediamo scorrere sui nostri schermi e monitor i numeri, tragici, dei decessi dovuti al coronavirus. Con un senso drammatico di impotenza. Come influisce, tutto questo, sulla nostra situazione demografica, già non priva di problemi e difficoltà?

La pandemia di Covid-19 sta colpendo in modo particolarmente accentuato il nostro Paese. Uno dei motivi è anche l’elevata presenza di anziani e cosiddetti “grandi anziani” (gli over 80), particolarmente fragili per condizioni fisiche e presenza spesso di altre patologie. Gli over 80 in Italia sono oltre 4 milioni e 300 mila, un dato quasi equivalente a tutta la popolazione dell’Irlanda. In alcune regioni, in particolare la Lombardia, il numero giornaliero di decessi è arrivato a raddoppiare quelli osservati negli anni scorsi, in periodo di “normalità”. Ci sono state epidemie molto più gravi nel passato, ma per le società moderne avanzate l’impatto di questa crisi sanitaria è del tutto inedito. Questo fa capire che non bisogna mai abbassare la guardia rispetto a questi rischi.

In questo momento vediamo che il timone delle discussioni non sta più in mano a opinionisti e politici, ma ai medici. Trova che questo stia portando in una crescita di fiducia, da parte degli italiani, nella scienza?

Veniamo da anni in cui sembrava che la vaccinazione fosse un optional, che le competenze non fossero più necessarie, che i dati scientifici potessero essere sostituiti dal senso comune veicolato dai social. Ora, in questa emergenza, con i timori che suscita e le misure drastiche prese, i dati e gli esperti sono tornati al centro dell’attenzione. Penso che questo sia positivo ed è importante che si consolidi questa fiducia anche dopo questa crisi. Molte cose che abbiamo dato per scontate non potranno più esserlo in futuro. Si dovrà in ogni caso, anche a livello collettivo, investire di più sull’innovazione, su ricerca e sviluppo, ma anche sulla solidità del sistema di welfare.

La maggior parte dei decessi ha un’età molto avanzata. Tuttavia, il clima che si sta generando, e le condizioni in cui si è portati a vivere ora, e inevitabilmente anche nei prossimi mesi, rischiano di influire anche sulla natalità?

L’impatto più diretto dell’epidemia è quello sulla mortalità ed è concentrato soprattutto sulle generazioni più anziane. Le conseguenze però indirette, con maggior impatto sul futuro del paese, rischiano di ricadere invece soprattutto sulle nuove generazioni, soprattutto indebolendo i percorsi formativi e professionali. La natalità italiana era già tra le peggiori in Europa e in continua diminuzione, anche a causa delle difficoltà oggettive delle nuove generazioni e l’incertezza verso il futuro. Va tenuto presente che già prima di questa crisi eravamo il paese con record di Neet in Europa (gli under 35 che non studiano e non lavorano) e con più tardiva età alla nascita del primo figlio. Il rischio è quindi che le scelte di chi progettava l’uscita dalla casa dei genitori, di formazione di una propria famiglia, di avere un figlio, vengano ulteriormente posticipate e riviste al ribasso.

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