Donne e lavoro, il ‘caso Franchi’ visto da manager e ricercatori

09/05/2022
FORTUNE HEALTH
Donne e lavoro, il ‘caso Franchi’ visto da manager e ricercatori FORTUNE HEALTH

A proposito di donne e lavoro, in un Paese dove la natalità è ai minimi storici, Fortune Italia ha voluto chiedere un parere a Riccarda Zezza, Ceo di Lifeed e coautrice del libro ‘Maam – Maternity as a Master’, e ad Alessandro Rosina, docente di Demografia e statistica sociale dell’Università Cattolica.

Elisabetta Franchi, dalle stelle alle stalle
Franchi, 53 anni e 23 di carriera, con 1.100 store multimarca e 87 monomarca presenti nelle più importanti città del mondo, vanta un fatturato da 123 milioni in epoca pre-Covid (2019), l’onorificenza di Cavaliere dell’Ordine al merito della Repubblica italiana (e quasi 3 milioni di follower su Instagram).

È stata anche celebrata in una docu-serie su Discovery+ e in diversi programmi televisivi; inoltre ha ricevuto il premio EY come ‘imprenditore dell’anno’ per “il suo coraggio, tenacia e costante impegno per un brand all’insegna della qualità, artigianalità e di fama internazionale”.

Non solo elogi. Franchi è stata spesso anche oggetto di critiche negli ultimi anni. Contrariamente alla maggioranza degli altri grandi marchi di moda, dopo l’inizio della guerra in Ucraina la stilista ha deciso di tenere aperti i suoi 15 negozi monomarca in Russia. A novembre dello scorso anno è stata denunciata dalla Cgil per gli straordinari imposti ai lavoratori della fabbrica a Granarolo. La vertenza sindacale è ancora aperta.

Il caso
Da sabato sera Franchi è al centro di una nuova bufera mediatica, che non accenna a placarsi. L’imprenditrice tra le altre cose ha dichiarato di aver spesso puntato su uomini, e di assumere donne in ruoli apicali solo dopo gli “anta”, perché “se dovevano sposarsi si sono già sposate, se dovevano far figli li hanno fatti, se dovevano separarsi hanno fatto anche quello”. Così sono “libere e tranquille e lavorano h24”.

Anche sul ruolo della donna nella società e nella famiglia, Franchi sembra avere le idee chiare: “Sono emiliana e nonostante sono così emancipata, noi donne abbiamo un dovere che è nel nostro Dna, i figli li facciamo noi, il camino lo accendiamo noi”.

La stilista ha sottolineato come la maternità sia un costo importante che grava sulle spalle delle aziende: “Mi parlate di lavoro femminile ma io da imprenditore, quando il marito la mette incinta, devo pagare gli assegni familiari, io devo pagare la formazione di chi la sostituisce, io devo fare il reintegro. Allora sai che ti dico: operaia te vuoi andare incinta, la botta te la do io!”.

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Italia e natalità, l’analisi di Alessandro Rosina

Siamo il Paese dove la formazione della famiglia avviene più tardi rispetto agli altri Stati Ue – commenta Alessandro Rosina, docente di demografia e statistica sociale dell’Università Cattolica – Facciamo figli più tardi sia per le difficoltà dei giovani a entrare nel mondo del lavoro, sia per i problemi di conciliazione tra lavoro e famiglia”.

“Per questo – aggiunge Rosina – la dichiarazione di Franchi lascia parecchio spiazzati. Soprattutto in un Paese come il nostro, con un tasso di natalità e con una valorizzazione dei giovani così bassi, e che avrebbe bisogno di politiche che invece consentano ai giovani di entrare nel mondo del lavoro in maniera solida e di fare carriera più velocemente, ma anche alle donne di conquistare posizioni diverse e portare sensibilità nuove nel mondo. Tutte queste resistenze sono quindi incomprensibili. Ancora di più se arrivano da una donna imprenditrice”.

I giovani oggi si trovano davanti a un mondo contraddistinto da un grado di complessità e di incertezze molto elevato. “La speranza è che possano incontrare politiche sociali e di welfare solide. È chiaro che le preoccupazioni valgono anche per tedeschi o francesi, ma lì i giovani riescono a realizzare molto meglio i propri progetti di vita. L’età in cui si ha il primo figlio in Francia è di 3 anni in media più bassa rispetto a quella italiana. È chiaro che per un giovane diventa importante – insiste l’esperto – vivere in un contesto in cui da un lato ci siano delle politiche adeguate, abitative così come quelle del lavoro e di conciliazione tra lavoro e famiglia, e dove siano previste soluzioni che consentano ai giovani e alle loro scelte di vita di integrarsi positivamente con la valorizzazione del capitale umano all’interno delle aziende”.

“La soluzione non può essere di certo quella di non assumere più giovani o donne in età fertile. Se questo è il messaggio che viene lanciato, i giovani stessi se ne andranno negli altri Paesi, come per altro già avviene”, conclude Rosina.

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