È un Paese per vecchi «A metà del secolo avremo un pensionato per ogni lavoratore»

29/04/2022
BRESCIAOGGI
È un Paese per vecchi «A metà del secolo avremo un pensionato per ogni lavoratore» BRESCIAOGGI

Una «stagione fredda» la cui temperatura si è ulteriormente abbassata – restando nel campo della metafora – per gli effetti della pandemia che ha stretto l’Italia in una morsa terribile: l’eccesso di mortalità, che nel 2020 ha addirittura abbassato di due anni le aspettative di vita, e l’ulteriore crollo delle nascite, con un ulteriore record negativo, scese sotto quota 400mila nel 2021. Alla condizione demografica italiana Alessandro Rosina, ordinario di demografia all’Università Cattolica di Milano, ha appena dedicato il suo ultimo libro dal titolo immediato: ‘Crisi demografica. Politiche per un paese che ha smesso di crescere’ edito da Vita e Pensiero 2021 che affronta la complessa situazione attraversata dal Paese, tra speranze post Covid e crisi economica innescata dalla guerra in Ucraina. A lui chiediamo un aiuto per provare a immaginare che cosa ci attende.

Professor Rosina l’Italia cerca di uscire da oltre due anni di convivenza con la pandemia da Covid 19, l’Istat ha evocato un bilancio da seconda guerra mondiale sul versante dei decessi: che identikit possiamo disegnare del Paese da un punto di vista demografico?

L’Italia è già in irreversibile declino demografico dal 2015. Da oltre 60 milioni e 300 mila abitanti è scesa a meno di 59 milioni. Il divario tra nascite e decessi è diventato negativo. Da tempo ha esaurito la sua capacità di crescita endogena. Il saldo naturale negativo tra nascite e decessi è diventato sempre più ampio e non riesce più ad essere compensato nemmeno dalle immigrazioni. La pandemia ha ulteriormente accelerato in questa direzione.

Nel 2021 i nuovi nati sono stati meno di 400 mila e i decessi oltre 700 mila. La nostra struttura per età è fatta da sempre più anziani e sempre meno giovani. Guardando al contesto europeo come ne escono le altre nazioni?

Tutte sono state in vario modo colpite, ma hanno retto meglio l’impatto rispetto all’Italia. Da un lato, l’Italia è stata il primo paese europeo a dover attuare restrizioni drastiche per il contenimento della diffusione del virus. D’altro lato il quadro demografico era già uno dei più deboli in Europa, quindi le conseguenze si sono fatte sentire maggiormente, soprattutto sui giovani e sulle donne. Su tali due categorie presentiamo i tassi di occupazione più bassi dell’Unione europea e questo rende ancora più deboli e incerti i progetti di vita da costruire. L’Italia presenta attualmente uno dei più bassi tassi di fecondità in Europa, pari a 1,25 figli per donna, molto sotto la media di 2 figli che consente un equilibrio tra generazioni. L’Italia da diversi anni registra comunque un calo costante della popolazione: è di 253mila unità la diminuzione nel 2021, ottavo anno di magra demografica, per dirla con Neodemos che studia con attenzione i fenomeni demografici.

Non è evidentemente solo colpa del Covid, quali le ragioni principali di questa deriva?

Il calo della popolazione è continuo e rischia di diventare sempre più accentuato. Più che colpa del Covid le cause derivano da una combinazione di carenza di politiche familiari e a favore delle nuove generazioni. Da decenni noi investiamo di meno su questi due ambiti rispetto alle altre economie mature avanzate. Anche i flussi migratori sono rallentati dopo l’impatto della recessione del 2008-13 e poi con la pandemia. Il segno negativo riguarda anche la casella delle nascite: 399mila nati nel 2021, il numero in assoluto più basso nella storia del Paese.

Quali buone pratiche andrebbero adottate per provare ad invertire la rotta? 

A tener particolarmente bassa la fecondità italiana rispetto alle altre economie avanzate sono tre principali nodi. Il primo incide soprattutto sul tempo di arrivo del primo figlio ed è da ricondurre alle difficoltà dei giovani nel conquistare una propria autonomia abitativa dalla famiglia di origine e un ingresso solido nel mondo lavoro. Il secondo nodo critico frena, invece, la progressione oltre il primo figlio ed è legato alle carenze delle politiche di conciliazione: se dopo la nascita del primogenito diventa complicato armonizzare impegno esterno lavorativo e interno alla famiglia, difficilmente si rilancia con la nascita di un secondo e successivi. Il terzo nodo è l’alta esposizione all’impoverimento economico, soprattutto per chi va oltre il secondo figlio. Le misure contenute nel «Family act», appena diventato legge con l’approvazione al Senato, affrontano questi nodi attraverso un rafforzamento delle politiche familiari, di quelle di conciliazione (in particolare con potenziamento dei nidi e dei congedi) e con l’assegno unico per il sostegno economico alle famiglie con figli. Non bastano però le leggi e nemmeno le risorse destinate, è fondamentale ora una realizzazione davvero piena ed efficace.

Le proiezioni dell’Istat non fanno intravvedere nulla di buono: lo scenario mediano al 2070 indica una popolazione di 47,5 milioni di abitanti, realistica? Che cosa ne pensa, in che misura dobbiamo preoccuparci?

Quando il tasso di fecondità scende e rimane a lungo molto sotto la soglia dei due figli per donna, come avvenuto per l’Italia, non solo diminuisce la popolazione ma si provocano squilibri nella struttura interna che hanno forti ripercussioni negative sul fronte sociale ed economico. In particolare, la persistente denatalità, dopo aver ridotto il numero di bambini e di giovani, sta ora spostando i suoi effetti anche sulla componente attiva che produce ricchezza, finanzia e fa funzionare il sistema sociale. Tutto questo a fronte di una popolazione anziana che continuerà ad aumentare.

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