Gli under 30. Generazione fantasma: “Aiutiamoli nel mondo del lavoro”

19/07/2022
Gli under 30. Generazione fantasma: “Aiutiamoli nel mondo del lavoro” ECO DI BERGAMO

Una generazione fantasma – esigua, fragile, demotivata – s’aggira per l’Italia: è la generazione Z, la prima a svolgere tutta la propria vita in questo secolo e anche la prima a proiettare tutta la propria carriera lavorativa nel post pandemia. Un tema affrontato da Alessandro Rosina, professore ordinario di Demografia e Statistica sociale, che ha usato questi termini in un commento sul “Sole 24 ore” e che ci spiega nell’intervista: “L’Italia sta subendo la più drastica riduzione del potenziale di forza lavoro in modo del tutto inedito rispetto al passato”.

Professore, cosa sta succedendo?

I dati più recenti di Eurostat dicono che siamo il Paese europeo con la più bassa percentuale di under 30: 28,3% contro valori superiori al 33% in gran parte del continente. C’è di più: la fascia d’età 30-34 risulta ridotta del 33% rispetto alla fascia 50-54, mentre il divario in Francia è meno del 10% e in Germania del 15%. Questo vuol dire che la generazione che sta entrando nei processi produttivi lo fa portandovi una propria debolezza demografica, perché è un terzo in meno rispetto a chi occupa la parte centrale della forza lavoro. Nessun altro Paese europeo sta subendo un crollo di queste proporzioni.

Provi a illustrarne le conseguenze.

Prima di tutto se vogliamo crescere, con il pesante debito pubblico che abbiamo, e se vogliamo cogliere le sfide della transizione verde e digitale, abbiamo bisogno dell’ingresso di nuovi soggetti nel mondo del lavoro: preparati, inseriti adeguatamente e ben valorizzati. La fragilità demografica delle nuove generazioni indebolisce la forza potenziale del lavoro del Paese. Non possiamo permetterci di avere la più alta percentuale di Neet (i giovani che né studiano né lavorano) in Europa, un’alta componente di giovani che lavorano con stipendi poveri e che devono adattarsi a svolgere mansioni più basse rispetto al loro titolo di studio. Questo ci spiega che esiste un forte sottoutilizzo e una scarsa valorizzazione del capitale umano, già di per sé insufficiente in quanto abbiamo sempre meno giovani e un numero inadeguato di laureati. Anche il welfare ne risente in termini di ridotta sostenibilità.

Quali sono i rischi più immediati per la generazione Z?

Che si rassegni e che si demotivi in una condizione giocata al ribasso, in difesa e in modo passivo, affidandosi al sostegno dei genitori, al Reddito di cittadinanza, all’economia sommersa, ai lavoretti o andando all’estero. L’arretramento quantitativo s’accompagna al depotenziamento qualitativo rispetto all’energia positiva e alla voglia di fare che i giovani possono mettere in campo, tanto più dopo il Covid, un’esperienza collettiva molto negativa, che ha leso parecchio le loro competenze sociali.

Che parte può avere il Piano di resilienza e ripresa (Pnrr)?

Il Piano interviene in maniera trasversale, investendo su formazione, percorsi professionali, Istituti tecnici, sistema duale e apprendistato, potenziamento dei Centri per l’impiego e riqualificazione. Il problema, tuttavia, riguarda l’implementazione effettiva dei contenuti del Pnrr, perché i riscontri ancora non ci sono. Già abbiamo il precedente di un grande progetto europeo, Garanzia Giovani, con risultati molto al di sotto delle attese. Non bastano le risorse, perché le misure vanno concretizzate a partire dai territori e con un impatto trasformativo, cioè che facciano sentire ai giovani stessi che qualcosa sta cambiando e che gli investimenti miglioreranno i loro percorsi di vita. Tutto questo ancora non si vede.

E quindi?

I giovani in questa fase vivono una situazione sospesa. Da un lato c’è il peso del passato: si accumulano gli squilibri demografici e le disuguaglianze con l’impatto penalizzante della pandemia. Dall’altro il Pnrr promette, ma non c’è ancora un risultato concreto. Il rischio è che i giovani si smarriscano proprio ora che servirebbe un incoraggiamento, perché le loro energie vadano nella giusta direzione. Dietro l’angolo si scorge la rassegnazione verso un Paese che fatica ad allinearsi ai percorsi di crescita e sviluppo delle realtà più dinamiche europee. Probabilmente, nel dibattito pubblico, non s’è compresa a fondo l’infelice combinazione delle difficoltà che già c’erano, sommate all’impatto del Covid che ha colpito ulteriormente la generazione Z. Si è un po’ sottovalutata l’usura psicologica derivata dal Covid, confinando i giovani nelle retrovie difensive da dove vanno aiutati ad uscire. Occorre incoraggiarli a vedere il futuro in modo positivo, mentre si nota da parte loro una grande incertezza che s’è ormai consolidata, una marcata caduta di progettualità, uno schiacciamento sul presente. Disorientamento e rischio di perdersi. I giovani temono di essere costretti ad accettare lavori continuamente al ribasso, intrappolati in processi di basso profilo, mentre hanno bisogno di capire che si parte con una prima esperienza lavorativa e che poi si è aiutati dentro un circuito virtuoso. Il Pnrr dovrebbe dare il segnale di una effettiva valorizzazione del capitale umano, cominciando proprio dal meglio che le nuove generazioni possono attivare.

La pandemia ha comunque avuto un ruolo molto negativo.

Nel Rapporto Giovani dell’Istituto Toniolo che abbiamo appena pubblicato osserviamo che in questi due anni di pandemia c’è stato un peggioramento dei giovani in tutte le competenze sociali e nelle risorse positive interne, un’erosione emotiva e di comportamenti che ha radicalizzato la condizione negativa già resa cronica dagli effetti della recessione del 2008-2013. In generale tutte le componenti si sono ridotte: fiducia e stima in se stessi, relazioni con gli altri, visione positiva del futuro. Un patrimonio da recuperare in un’Italia che dovrebbe rendere esplicita l’idea che la ripartenza comincia dai giovani. Servono risposte urgenti, altrimenti tali cedimenti e atteggiamenti negativi possono frenare in prospettiva l’energia positiva. La costruzione personale dei giovani deve diventare la costruzione collettiva del futuro dell’Italia.

Possiamo imparare da qualche Paese virtuoso?

Un esempio viene dalla Germania, che pure ha pochi giovani quasi come l’Italia: tutto quello che noi adesso cerchiamo di fare, questo Paese lo ha attuato per tempo. Mi riferisco agli investimenti su formazione, in particolare tecnico-professionale, apprendistato, Centri per l’impiego diffusi sul territorio con operatori in grado di riqualificare i giovani e di far incontrare domanda e offerta, valorizzazione nel mondo del lavoro attraverso ricerca, sviluppo e innovazione. Noi abbiamo fatto meno rispetto alla media europea, mentre la Germania ha ottenuto indicatori più alti e ora ha una quota di Neet molto bassa e può attirare professionalità giovanili da altri Paesi. Ha compensato la riduzione quantitativa dei giovani con un forte potenziamento qualitativo. Noi dovremmo fare altrettanto, ribaltando l’approccio fin qui seguito. Penso ad esempio alle piccole e medie imprese, che caratterizzano il tessuto imprenditoriale italiano: dovremmo fare in modo che le competenze dei giovani contribuiscano ad un salto di qualità di questo mondo per quanto riguarda l’apertura internazionale, la transizione green e digitale. La vulnerabilita’ demografica dei nuovi entranti nel mondo del lavoro dovrebbe favorire una crescente attenzione non solo rispetto a cosa possono portare nelle aziende in termini di competenze tecnologiche, ma ancor prima a come riconoscere e valorizzarne le specificità antropologiche: significa assegnare maggiore importanza a cosa sono portati a dare e desiderano essere. Andrebbe proprio cambiata la prospettiva e qui si colloca il compito del Pnrr: non la gestione dell’esistente, al quale dovrebbero adattarsi i giovani, piuttosto la valorizzazione del meglio che possono dare per consentire al Paese di crescere con tutte le sue potenzialità. Il destino della generazione Z dipende anche da come il mondo del lavoro saprà gestire questa ulteriore complessità: giovani che si trovano al bivio fra, appunto, l’essere lasciati nelle fragilità esistenziali e nel perimetro marginale in cui si trovano o essere aiutati a prendere in mano il loro futuro, diventando attori del cambiamento e sviluppo del Paese.