I giovani hanno perso la fiducia in chi non li ascolta

06/10/2022
I giovani hanno perso la fiducia in chi non li ascolta FAMIGLIA CRISTIANA - 6 Ottobre 2022

Il vero protagonista delle ultime elezioni politiche è stato l’astensionismo. Il 35 per cento degli italiani non si è presentato alle urne. Ma quel che colpisce ancor più è la percentuale di giovani che ha deciso di non votare: il 40 per cento dei ragazzi tra i 18 e i 34 anni. Alessandro Rosina, ordinario di Demografia e Statistica sociale dell’Università Cattolica di Milano e coordinatore scientifico del Rapporto Giovani del Toniolo, ci aiuta a capire le motivazioni.

Perché i giovani non vanno a votare?

Ci sono due motivi di fondo: da una parte, chi nemmeno più si informa e ha alzato una barriera cronicizzando una delusione verso la politica considerata ormai inutile. Giovani che si sono autoesclusi, dal forte disagio sociale, con basso titolo di studio e questo spiega l’elevata astensione soprattutto nel Sud Italia dove c’è una componente di emarginazione sociale giovanile maggiore, la stessa delle periferie delle grandi città del Nord. È evidente allora la correlazione tra disoccupazione, dispersione scolastica e astensionismo.

E poi c’è chi sceglie di votare astenendosi.

Chi sceglie di non votare guardando all’attuale offerta politica, all’affidabilità delle promesse fatte. Qui lo scetticismo è trasversale tra titoli di studio e livello economico: vogliono vedere un Paese che investe su di loro. Si confrontano coi coetanei europei notando le differenze sui temi fondamentali, dalla casa al lavoro, politiche inefficaci da troppi anni. Giovani che hanno rinnovato le aspettative con Next generation eu e Pnrr; per loro, dopo la pandemia, vedere la politica entrare in crisi è stato di nuovo confrontarsi con un’immagine del Paese di bassa responsabilità e credibilità, che fatica a dare risposte solide e convincenti.

Che messaggio vogliono dare?

Dicono di un’offerta politica inadeguata e del desiderio di una politica diversa che guardi al bene comune. La maggior parte di loro pensa che la politica possa migliorare il Paese, ma che li deve coinvolgere. Allora sì che sarebbero contenti di votare.

E poi ci sono i fuori sede: un popolo di quasi cinque milioni di persone tra lavoratori e studenti.

Questa è la terza categoria che pesa sull’astensionismo. Giovani che sempre più si spostano per motivi di studio e lavoro in Italia o all’estero. La crescente mobilità chiede strumenti nuovi. Una condizione che indebolisce la possibilità di voto anche di chi vorrebbe farlo quando, invece, la partecipazione attiva andrebbe incentivata per il benessere sociale e civico del Paese.

Il giorno dopo le elezioni gli attivisti dei Friday for future protestavano…

Fa capire come l’atteggiamento dei giovani sia diversificato: da chi è disinteressato e non si informa nemmeno più e chi si astiene: a chi, invece, vorrebbe contare e quando vede che il Paese non fa scelte o proposte sui temi a loro cari si mobilita. Alzando eccessivamente la voce perché l’esito di una consultazione democratica va sempre accettato.

Dall’ultimo Rapporto Giovani del Toniolo emerge che chi fa volontariato è più propenso a impegnarsi in altre cose tra cui anche votare. È così?

Sì. C’è un dato allarmante per l’Italia: il 28 per cento dei nostri giovani tra i 20 e i 29 anni non studia e non lavora (Neet). Il dato peggiore in Europa. Sono i ragazzi che perdono il senso di appartenenza sociale; non li vedi più, non sono a scuola né al lavoro, non fanno volontariato, non votano. Gli attivi, invece, sono attivi in tutto. Anche nelle esperienze che li aiutano a produrre senso e valore generando bene comune.

Quali sono le altre urgenze dei ragazzi?

I temi emersi in campagna elettorale. La generazione Z, under 25, è attenta ai temi ideali: un mondo più giusto, i diritti, le disuguaglianze sociali, l’ambiente. Chi si è già confrontato col lavoro, i 25- 34 anni, chiede di essere adeguatamente remunerato per conquistare l’autonomia e progettare il futuro. C’è quindi il tema della casa, dell’accesso al mutuo, degli affitti soprattutto nelle grandi città. La pensione futura e il rischio di povertà. Questi giovani sanno di essere importanti per competenze e sensibilità sugli assi strategici: transizione digitale e verde. È lì che dovremmo fare leva per far sì che siano soggetti attivi nelle sfide del proprio tempo che il Paese può vincere con loro.