IL GUAIO NON È IL REDDITO DI CITTADINANZA MA L’ASSENZA DI GENTE IN ETÀ DA LAVORO

28/08/2022
GLI STATI GENERALI
IL GUAIO NON È IL REDDITO DI CITTADINANZA MA L’ASSENZA DI GENTE IN ETÀ DA LAVORO GLI STATI GENERALI

“In Italia la gente non ha più voglia di lavorare”. “Il Reddito di Cittadinanza fa stare i giovani sul divano”. Sono ritornelli che opinionisti, imprenditori e influencer recitano frequentemente. In realtà sono molti i fattori che spiegano la difficoltà per le imprese di trovare i lavoratori di cui hanno bisogno. Fattori che poco o nulla hanno a che fare con il famigerato Reddito di Cittadinanza (RdC), spesso rappresentato come una misura disincentivante alla ricerca di impiego per i disoccupati e gli inattivi (cioè, secondo la definizione Istat, le persone “non classificate come occupate o in cerca di occupazione”). Tant’è vero che i fattori che spiegano la “penuria di lavoratori” esistevano in Italia molto prima del gennaio 2019, quando venne istituito il RdC.

La dinamica demografica è il primo di questi fattori e, stando a diversi studi, quello di gran lunga più preoccupante. In sintesi estrema, dal 1992 la quantità di italiani in età lavorativa (quindi compresa tra i 15 e i 64 anni) ha cominciato a diminuire in modo costante, attestandosi al 63,5% della popolazione nel 2021 contro la media OCSE di quasi il 65%.

Si considerino ad esempio le persone di età compresa fra i 15 e i 35 anni residenti in Italia nel 2011, nel 2016 e nel 2021. Come mostra il grafico sottostante, dagli oltre 14 milioni del 2011 sono passate ai 12,7 dell’anno scorso:

 

Su questa tendenza ha un fortissimo peso il calo delle nascite cominciato dopo la generazione dei Baby-Boomers, cioè dei nati tra il 1946 e il 1964, durante la grande crescita economica del secondo dopoguerra, specie in Europa e Nord America. Dopo il massimo storico di oltre un milione di nati nel 1964, l’Italia ha sperimentato un costante calo delle nascite, fino alle 399mila del 2021. Quasi il 31% in meno rispetto al 2008, e “un nuovo minimo storico dall’Unità d’Italia”, segnalava l’Istat lo scorso marzo nel rapporto Dinamica demografica anno 2021.

Ciò contribuisce a fare sì che il saldo demografico della popolazione in età lavorativa, cioè la differenza tra la popolazione che compie 65 anni e quella che ne compie 15, sia negativo. In altre parole, sono più numerosi coloro che raggiungono la soglia dei 65 anni, e quindi, teoricamente, escono dal mercato del lavoro, di coloro che compiono 15 anni, e quindi si affacciano, almeno potenzialmente, sul mercato del lavoro.

Alessandro Rosina è professore ordinario di demografia e statistica sociale all’Università Cattolica di Milano, e in un’analisi per il magazine digitale Spirito Artigiano a luglio scriveva: “La trascuratezza con cui abbiamo finora gestito queste dinamiche pone oggi il nostro Paese di fronte alla prospettiva di una drastica riduzione della popolazione attiva. La denatalità italiana ha, infatti, prima ridotto la popolazione infantile, poi quella giovanile ed ora sta andando ad erodere sempre più anche le età adulte (anche tenendo conto dei flussi migratori, senza i quali la riduzione sarebbe ancor più rilevante)”.

In effetti per diversi anni la dinamica demografica negativa della forza lavoro è stata in parte compensata dal saldo migratorio, cioè la differenza tra immigrati ed emigrati, che invece è positivo. Anche quello, tuttavia, si sta restringendo. Secondo un’analisi dell’Osservatorio CPI dell’Università Cattolica di Milano a cura di Salvatore Liaci, il saldo migratorio “aumenta la forza lavoro, anche perché la maggior parte dei migranti stranieri è in età lavorativa e partecipa al mercato del lavoro mediamente di più rispetto alla popolazione residente. Il saldo è divenuto positivo negli anni Novanta, risultando particolarmente intenso nel primo decennio degli anni Duemila, ma ha conosciuto un netto calo nel secondo decennio. Nei cinque anni prima della crisi finanziaria 2007-08 la media del saldo migratorio era di 313.000 unità, mentre nei cinque anni precedenti la crisi Covid la media è stata di 160.000 unità”.

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