“In Italia c’è il più ampio divario fra figli desiderati e figli effettivamente avuti”

Il suo libro è compreso tra due estremi, l’Unità d’Italia e la Pandemia, ed ha come punto intermedio lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale come momento negativo che si è trasformato in opportunità. Possiamo aspettarci qualcosa di simile da qui in avanti?
L’Italia, come raccontiamo nel libro, appare un paese portato a cercare un equilibrio e poi mantenerlo il più possibile. Anziché rimettersi continuamente in discussione rispetto al mondo che cambia, cerca di resistere finché non si produce una discontinuità che rompe l’equilibrio precedente. Questo è avvenuto in negativo con la Grande Guerra e in positivo con il secondo conflitto mondiale. Dopo i “Trenta gloriosi” ci siamo ostinati a difendere il nuovo benessere raggiunto anziché investire sulle componenti e sulle condizioni in grado di generare nuova ricchezza e benessere. Abbiamo così indebolito la crescita economica e lasciato aumentare squilibri demografici e diseguaglianze sociali.

I primi tre decenni di sviluppo economico del secondo dopoguerra sono stati segnati indubbiamente dal miracolo economico e dal cosiddetto baby boom. Ma questi due fenomeni sono sempre in relazione positiva, nel senso di una reciproca leva al rialzo?

La relazione tra demografia ed economia evolve positivamente quando esistono strumenti di welfare che consentano alle persone di mettere in relazione positiva lavoro e scelte di vita. Le condizioni che le mettevano in relazione positiva nel secondo dopoguerra non funzionano più oggi perché quel tipo di economia, di demografia, ma anche di società, non ci sono più. Non dobbiamo, però, ritornare a quel modello, ma fare in modo che i meccanismi del rinnovo generazionale, sul versante sia quantitativo sia qualitativo, siano coerenti con le sfide di oggi.