Inchiesta maternità /1: Il bambino che vorrei

14/11/2020
IO DONNA
Inchiesta maternità /1: Il bambino che vorrei IO DONNA

C’è un prima, c’è già – più ancora si vedrà – un dopo. Lo spartiacque lo fa la pandemia che – la previsione è unanime a meno che molte, troppe palle vadano in buca – raggelerà ancor di più lo scenario di un Paese che fa pochi figli, ma soprattutto ne fa meno di quanti desidererebbe chi lo abita. C’è una simbolica quota in una curva che da molto tempo non cessa di scendere: 400mila nati l’anno. Ebbene, il 2021 – la notizia arriva dall’Istat – sarà con ogni probabilità il momento in cui questa soglia verrà infranta dal moltiplicarsi delle difficoltà che non aiutano il progetto di mettere al mondo un figlio. I nudi numeri già avvertono: tra gennaio e maggio 4500 nascite in meno rispetto allo stesso periodo del 2019, anno in cui sono nati 435mila bambini; il saldo 2020 dovrebbe chiudersi poco sopra la quota simbolica, mentre l’anno prossimo si potrebbe scendere a 396mila nati.

Maternità e pandemia
Mai così pochi, tanto che Carlo Blangiardo, presidente dell’Istat, ha paragonato lo scenario creato dalla pandemia a tre grandi traumi del passato: gli effetti in Italia dell’esplosione di Chernobyl, il gelo delle nascite nell’Est tedesco dopo la riunificazione e la crisi del debito greco che ha disegnato un Paese ad alta disoccupazione e a depressa natalità. Altro che il mini babyboom vagheggiato da chi, durante il primo lockdown, spingeva sulla leva dell’ottimismo. Potrebbe valere la risposta fulminea data dalla sociologa Chiara Saraceno a Giovanni Floris nel suo libro recente L’alleanza (Solferino) che dedica un capitolo alle ragioni della bassa fecondità: «Mi chiede se è naturale fare figli? Non siamo dei gattini: la natura non ci impone nulla». Non solo la natura, ma neanche la convivenza obbligata: decidere oggi di avere un figlio è una scelta, ed è delicata e non scontata. «Se un Paese vuole ridurre le nascite, è sufficiente non favorirne le condizioni», riflette Alessandro Rosina, demografo dell’Università Cattolica di Milano. «Se l’obiettivo è il contrario, visto che il numero dei figli desiderati è vicino a due per donna (il tasso attuale è 1,29, ndr ), servono politiche affinché le donne abbiano o non rinuncino al lavoro, e le famiglie non si impoveriscano. Gli indicatori su cui lavorare, ora tra i peggiori in Europa, sono il tasso di fecondità, l’occupazione femminile e la povertà infantile materiale ed educativa».

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