Io voto Socrate

26/02/2018
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«Molte volte, conoscere se stessi, Socrate, mi è sembrata una cosa alla portata di tutti. Molte volte, invece, assai difficile». Così Alcibiade manifestava al maestro la sua preoccupazione di fronte alla fatica che comporta crescere. Socrate gli rispose: «Alcibiade, che sia facile oppure no, conoscendo noi stessi potremo sapere come dobbiamo prenderci cura di noi, mentre se lo ignoriamo, non lo potremo proprio sapere».

Qualsiasi riforma della scuola dovrebbe partire dall’affermazione di Socrate, che pone come fine della conoscenza la cura di se stessi e quindi del mondo. Nei fatti, però, il sapere al servizio della cura dell’uomo è oggi quasi impossibile in una scuola immobilizzata dalla burocrazia, corrosa dal precariato dei docenti giovani e dal cosiddetto burn-out, in italiano «bruciare completamente», dei meno giovani, «bruciati, scoppiati», potremmo dire, non per l’ordinario stress da lavoro, ma a causa di un vero e proprio esaurimento emotivo, figlio della mancanza di senso e riconoscimento per ciò che si fa. La demotivazione degli insegnanti, in un sistema che ne trascura la dignità, genera la corrispondente apatia nei ragazzi, privati così dell’essenza della scuola: l’orientamento, cioè l’aiuto prestato a un giovane in formazione per intercettare la parte di realtà in cui riuscirà a mettere in gioco il meglio di sé. Ed è proprio perché manca l’orientamento che troppi studenti lasciano la scuola, ritirandosi o anche solo arrendendosi mentalmente, incapaci di cogliere il proprio futuro: la formazione, senza orientamento, è sterile, non serve alla vita, alla presa sulla vita. Si sentono oggetti da prestazione e non soggetti di possibilità, atomi isolati e non storie che portano il nuovo nel mondo. E non possiamo stupirci se la naturale tensione al compimento di sé, quando non trova una meta, si corrompe in apatia o in violenza.

«Frequento la quinta superiore e non ho la più pallida idea di cosa voglio fare della mia vita (che cosa hanno fatto fino ad adesso gli insegnanti con me?). Come faccio a capire qual è la mia vocazione? Non mi aspetto una soluzione al problema, però ti chiedo se puoi aiutarmi a capire quali possono essere i criteri e i modi per scoprire ciò a cui sono chiamata». Ricevo da tantissimi studenti lettere come questa, a conferma che l’essere umano si definisce come tale solo se riesce a dar senso, significato e direzione, alla propria vita nel mondo che lo circonda: cioè impara ad abitarlo anziché subirlo. In questo senso i docenti sono mentori, guide per temporanei «non vedenti»: i ragazzi, con la vista ancora un po’ annebbiata, imparano passo passo ad orientarsi arrivando poi a «vedere» davvero.

Alla fine di 13 anni di scuola sono tantissimi i ragazzi che non sanno molto di sé. Per questo sono paralizzati dalla paura, come mostra il crescente fenomeno dei cosiddetti Neet (acronimo inglese di «not in education, employment or training»), cioè giovani che non studiano né lavorano, in Italia più di 2 milioni, di cui si è occupato Alessandro Rosina nel libro dedicato al nostro potenziale perduto proprio per l’inefficienza nella transizione scuola-lavoro. E questo dipende in gran parte dal fatto che la scuola non aiuta a scovare le proprie attitudini. Molti dopo le medie non sanno che strada intraprendere: liceo (quale?), formazione professionale, tecnica? Ricevono consigli approssimativi e, nei casi virtuosi, qualche test attitudinale. Spesso si finisce così per scegliere «cosa fanno gli amici» o «cosa dicono i genitori». Lo stesso accade alla fine delle superiori: fare o no l’università? Quale facoltà? Quale lavoro? Troppi sbagliano percorso, arrancano, cambiano, magari per scelte basate su copioni rassicuranti ma poco rispondenti alle reali attitudini. Il futuro si apre solo quando sboccia da dentro, non quando è mero contagio esteriore. L’orientamento all’ultimo anno si riduce a un catalogo di open-day; l’obiettivo delle università è attirare i ragazzi, spesso anticipando i test per vincolarli all’iscrizione preventiva, ignorando il peso del percorso di studi e dell’esame di maturità: in altre parole, ignorando la loro storia.

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