La fuga all’estero dei giovani del Sud per cercare lavoro

 

 

 

 

Il rapporto 2015 dell’Istituto Toniolo fotografa la gioventù meridionale Solo il 15 cento di chi ha 20-30 anni e ha studiato vuole restare al Sud

«PER I GIOVANI del Sud – commenta il professor Alessandro Rosina, docente di Demografia e statistica sociale dell’università cattolica di Milano e tra i curatori del Rapporto giovani – risulta molto più drastica la decisione tra rimanere, ma doversi accontentare a rivedere al ribasso le proprie aspettative lavorative e i propri obiettivi di vita, o invece andarsene altrove. Solo il 16 per cento è infatti indisponibile a trasferirsi. Se però in passato come destinazione prevaleva il Nord Italia, ora più della metà degli under 30 meridionali punta a un possibile volo direttamente all’estero. A progettare di andarsene sono ancor più i laureati e gli studenti, mentre i più rassegnati a rimanere sono i Neet, ovvero i giovani che non studiano e non lavorano».

E questo significa che la disponibilità delle fasce giovanili meridionali a emigrare per poter lavorare «tende a impoverire non solo quantitativamente, ma anche qualitativamente – avverte Rosina – la presenza dei giovani nel territorio di origine ».

E infatti dal sondaggio emerge che in particolare il 73 per cento di chi ha solo la scuola dell’obbligo è disposto a trasferirsi stabilmente (in Italia o all’estero), mentre la percentuale dei laureati sale all’86 per cento.

Mentre solo il 43 per cento di chi ha titolo di studio “basso” è pronto ad andare all’estero.

La decisione di spostarsi dei giovani del Sud è legata non solo alle minori opportunità di trovare lavoro (la quota di giovani che non studiano e non lavorano è superiore al 35 per cento in molte regioni del Sud contro meno del 20 per cento al Nord), ma anche alla più bassa qualità e soddisfazione per vari aspetti del lavoro svolto.

Chi rimane nel Sud anche trovando lavoro, si trova maggiormente a doversi adattare a svolgere una attività non pienamente in linea con le proprie aspettative.

Se la soddisfazione sull’aspetto relazione è solo leggermente più bassa rispetto al resto del Paese, i divari sulla stabilità del lavoro e sul guadagno sono più marcati.

In generale circa un giovane meridionale su tre non è soddisfatto del lavoro che svolge conto uno su quattro nel Nord.

Un motivo per andarsene è anche la bassa fiducia nelle istituzioni e in particolare nella possibilità che la politica locale sia in grado di migliorare le condizioni di vita e lavoro dei cittadini.

La fiducia nelle istituzioni locali (Comune e Regione) è pari al 23 per cento per i giovani italiani in generale, mentre scende al 17 per cento per i giovani del Sud.

«In particolare pesa l’instabilità e le basse remunerazioni, indicati come aspetti problematici da oltre la metà dei giovani occupati nel meridione» commenta il professor Rosina.

Che conclude: «La conseguenza è che per i giovani del Sud risulta molto più drastica la decisione tra rimanere, ma doversi accontentare a rivedere al ribasso le proprie aspettative lavorative e i propri obiettivi di vita, o invece andarsene altrove. La sfida è quindi quella di costruire condizioni per rimanere oltre a quelle per riattrarre chi è andato a studiare o a fare esperienze di lavoro al Nord o oltre confine. Molti giovani emigrati sarebbero disposti a tornare anche con opportunità inferiori a quelle che trovano negli altri paesi sviluppati, purché però in presenza di un processo solido e credibile di miglioramento a cui possano contribuire da protagonisti in casa propria».

La Repubblica (ed. Napoli), 24 giugno 2015, pp. I e II