L’asilo? Una lotteria garantita a meno di 3 bimbi su dieci. Le famiglie sono in affanno

In Italia, entro i prossimi sei anni, i posti negli asili nido dovranno essere disponibili per almeno 45 bambini su cento. Lo ha stabilito il Consiglio dell’Ue ma sarà difficile arrivare a questa cifra visto che il nostro Paese non ha ancora centrato l’obiettivo precedente, che era del 33%, fissato nel 2002 e poi appunto aggiornato nel 2021. In Italia, stando ai dati Openpolis del 2023, ci sono oggi 28 posti ogni cento bambini: quasi un punto in più rispetto al 2020, quando erano 27,2, ma ancora a cinque dall’obiettivo del 33% (comunque, come dicevamo, già superato). Una situazione a macchia di leopardo, dove le regioni che sono riuscite a superare la quota del 33% sono solo sei: Umbria (43,7%), Emilia Romagna (41,6%), Valle d’Aosta (41,1%), Toscana (38,4%), Friuli Venezia Giulia (36,8%) e Lazio (36,1%). All’opposto ci sono, invece, Calabria (14,6%), Sicilia (13%) e Campania (11,7%). Con punte di diamante come Nuoro (73,8 posti ogni cento bambini) e maglie nere come Messina (7,3).

E gli altri, cioè i bambini che al nido non ci vanno? Secondo un’indagine Istat del 2021 la percentuale di quelli che vengono accuditi dai genitori, a livello nazionale, è del 51,5% (contro il 47,1% in Ue), con ovvie conseguenze sull’occupazione dei genitori stessi. Soprattutto delle madri. «Una coppia, quando si chiede se fare un figlio, si domanda anche se il bimbo avrà un posto al nido: senza, è probabile che uno dei genitori dovrà rinunciare al lavoro per accudirlo, quindi in famiglia entrerà uno stipendio in meno e questo influenzerà il benessere famigliare come la scelta di avere eventuali altri figli», ragiona Alessandro Rosina, professore ordinario di demografia all’università Cattolica di Milano. Un circolo vizioso, insomma. Che, in Italia, è frutto delle scelte compiute dalla crisi del 2008 in poi: «La politica ha frenato gli interventi pubblici, disinvestendo in questo ambito: le famiglie non sono state aiutate ed è per questo che oggi, anno dopo anno, la natalità continua a diminuire (tra il 2008 e il 2023 il numero totale di nuovi nati è sceso di 197mila: sedici anni fa erano 576,659, l’anno scorso solo 379mila, ndr) e pure l’occupazione femminile resta bassa».
Grazie ai fondi del Pnrr il circolo potrebbe diventare virtuoso, come spiega l’esperto: «I posti nei nidi aiutano l’occupazione femminile, che a sua volta porta alla crescita economica, all’aumento della natalità, alla rivitalizzazione del territorio. Oltre agli indubbi benefici per i bimbi stessi». Il punto, però, è usare bene questi fondi. E per «bene» Rosina intende in grado di ottemperare a due condizioni: «Incidere nelle aree dove c’è più bisogno per creare nuovi posti e far diventare l’accesso al nido un diritto, sia per quanto riguarda l’offerta qualitativa che per quanto concerne quella economica. Solo così riusciranno a sviluppare il territorio, che altrimenti rischia squilibri demografici con conseguenze sui servizi».

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