L’emergenza di un’Italia che non fa figli

09/01/2022
L’emergenza di un’Italia che non fa figli LA DOMENICA - SOLE 24 ORE

Stavolta sarà la storia, o meglio il nostro presente, a falsificare il motto di Leo Longanesi secondo cui «i problemi sociali non si risolvono mai: invecchiano, passano di moda e si dimenticano». La tragedia del declino demografico italiano è proprio l’invecchiamento della popolazione e questa Italia che non fa figli non potrà certo invecchiare come problema sociale. Perché ormai è un’emergenza. Non a caso l’ha citata ancora una volta il presidente Sergio Mattarella nel discorso di fine anno. Anche Papa Francesco ha detto che «soffre la patria se non si fanno figli».

E un disastro che va risolto. E forse, prima ancora, va capito. Ci soccorre il libro di Alessandro Rosina Crisi demografica, politiche per un Paese che ha smesso di crescere. Siamo stati il primo Paese al mondo a vedere gli under 15superati dagli over 65. E presto (nel 2040, un’inezia per la demografia) gli ultra sessantacinquenni supereranno gli under 35. Un Paese con l’età mediana prossima ai 50 anni, un altro record negativo per un’Italia da quarta età. C’è un invecchiamento e, soprattutto, un “degiovanimento”. Non è un problema di aumento della longevità, anche se è innegabile una certa cultura di un giovanilismo più illusorio e consumista che reale. Il tema è la scelta di non fare più figli. Fenomeno culturale contemporaneo che squilibra il rapporto tra le generazioni.

La causa principale per Rosina è un errore prospettico: l’Italia non riesce a convincere le persone «a dare valore e a rendere progettuali i desideri di maternità, paternità, di vita familiare relazionalmente più ricca». Una sfiducia di fondo nel futuro come stabile, una incertezza nelle condizioni economiche, un sistema di welfare che fatica a creare misure efficaci sono la triade che ha portato a questa nostra Italia incanutita.

E, ciò che è peggio, a un Paese imprigionato in una spirale negativa dove la denatalità si autoalimenta: i figli non nati di ieri e di oggi sono anche la madri mancanti di oggi e domani. Che, a parità di condizioni, significa ancora meno figli nel futuro.

Questa Caporetto generazionale può anche essere frutto di un fattore culturale, di un neo-egoismo legato all’irresponsabilità come paradigma esistenziale, ma di questo Rosina non parla. Analizza, invece, l’impatto angosciante che la scelta di fare figli ha nei giovani che hanno già introiettato l’assunto secondo cui la loro vita sarà peggiore di quella vissuta dalla generazione precedente (quella dei genitori).

Rosina resta ai dati e denuncia le obiettive strozzature sociali che portano i giovani a conquistare tardi la propria autonomia dalla famiglia di provenienza (casa, lavoro). Questo ritardo comporta che difficilmente si andrà oltre il primo figlio perché sarà sempre più difficile armonizzare vita esterna lavorativa e vita interna alla famiglia. Senza contare che esiste un terzo limite: l’incubo della povertà che insorge quando la famiglia aumenta di numero in un’Italia che rappresenta i figli solo come costo privato (dei genitori) e mai come riconoscimento di un valore sociale.

Molte delle possibili soluzioni transitano da un diverso approccio culturale al valore femminile: deve aumentare il tasso di occupazione delle donne; deve essere data una diversa caratura sociale al lavoro di cura; va ripensato il sistema di welfare che dovrà essere ispirato a «una visione integrale della persona, del suo benessere soggettivo e relazionale, del sostegno alle scelte desiderate che impegnano positivamente verso il futuro e generano valore comune».

L’era del Covid ci ha messi di fronte a queste contraddizioni: il secondo Paese più vecchio del mondo ha scoperto la sua vulnerabilità sanitaria nell’ecatombe di anziani portata dalla pandemia; ma ha scoperto anche che le nuove generazioni sono diventate ancora di più preda della paura e ancora meno convinte nelle scelte di formare una famiglia. Rosina sottolinea come il Covid abbia accentuato le disparità di genere e come abbia costretto le donne a pagare il prezzo più alto nella rinuncia al lavoro. Naturalmente la pandemia ha accentuato anche il tema della povertà, altro deterrente che ha contribuito molto alla denatalità italiana.

Che fare? Per Rosina la strada è quella del ripensamento del welfare innanzitutto, e la strada dell’assegno unico per i figli che ha debuttato con il 2022 è quella giusta. I servizi per l’infanzia devono diventare la vera infrastruttura strategica per un’azione di riequilibrio generazionale. Ad esempio stabilendo, come è stato fatto in Germania, il diritto esplicito di ogni bambino ad avere l’offerta di un percorso educativo di qualità fin dai primissimi anni di vita, che inizi quindi con l’accesso al nido. Laddove c’è un diritto, speculare diventa il dovere delle amministrazioni di garantirlo. Per Rosina bisognerebbe fissare un obiettivo di copertura del 33%in tutte le Regioni entro 112025. Ma neanche i soldi del Pnrr, che coprono 228mila nuovi posti nelle scuole dell’infanzia entro il 2026, sarebbero probabilmente sufficienti. La demografia conta, ma va letta come un termometro di tanti fenomeni. Quando passerà questa febbre italiana? Quando gli attuali quindicenni potranno arrivare ai 20 anni con il 90% di loro diplomato con successo alle superiori e con il 50% laureato entro i 30 anni e a 35 in grado di formare una famiglia nelle percentuali della media europea. Per ora solo una certezza: siamo molto lontani.