Partite Iva, i Millennial colpiti dalla crisi del virus si raccontano

17/04/2020
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Partite Iva, i Millennial colpiti dalla crisi del virus si raccontano CORRIERE

“Mi sento senza speranza per il futuro. Il settore in cui opero, architettura, non godeva già di buona salute e la situazione può solo peggiorare. Se prima di questa pandemia i giovani come me faticavano a trovare collaborazioni malpagate, cosa resterà per noi dopo?”. Inizia così uno dei messaggi anonimi lasciati in fondo al sondaggio lanciato dalla Nuvola dieci giorni fa per capire come stanno vivendo i giovani con partita Iva la crisi economica causata dal coronavirus. Parole amare, come queste, ma ce ne sono alcune incoraggianti, scritte da chi è riuscito a trovare nuovi modi di impiegare il proprio tempo, spesso dedicandosi a iniziative solidali. Sì, perché di tempo ormai ce n’è in abbondanza per tutti, Millenial freelance compresi, visto che soltanto la metà di loro sta continuando a lavorare, e spesso a scartamento ridotto.

La generazione delle crisi
Ma chi sono i Millenial? Secondo l’Istat sono i nati tra il 1981 e il 1995. La maggior parte ha oggi quindi più di 30 anni, ma anche chi ha tra i 25 e i 30 si sente molto rappresentato da questa definizione. La differenza tra queste due fasce d’età è che mentre chi è nato nei mitici anni Ottanta ha il ricordo di un tempo in cui in Italia i soldi si facevano e il lavoro a tempo indeterminato era uno e abbastanza accessibile, per la seconda generazione tutto questo era già un miraggio al momento di entrare nel mondo del lavoro. Che per molti è coinciso con la crisi finanziaria scoppiata nel 2008, quindi contratti a mille euro o meno, stage non pagati, la fuga dei cervelli, le partite Iva obbligate, ecc. Se negli anni si è iniziato timidamente a pensare che le cose potessero andare meglio (anche se quel meglio comprendeva l’obbligo sottaciuto di conseguire un master di secondo livello, parlare fluentemente almeno tre lingue, esibire solide esperienze lavorative ancor prima di laurearsi), ecco arrivare una seconda crisi: quella del virus. Ancora più incerta e logorante, da cui nessuno può scampare. E quelle partite Iva alle quali ci si era ormai un po’ abituati traballano di nuovo. Ma non solo loro.

Chi ha risposto al sondaggio
Secondo un’indagine sugli effetti del coronavirus, “Essere giovani ai tempi della pandemia”, realizzata dall’Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo e Ipsos intervistando 2000 persone tra i 20 e i 34 anni, per la maggioranza dei giovani italiani la condizione lavorativa è peggiorata rispetto al già instabile periodo precedente. Un dato che conferma su larga scala le risposte raccolte da La Nuvola, 101, tra il 5 e l’8 aprile. Un campione ridotto, il nostro, che non può quindi dirsi rappresentativo dell’intera categoria, ma che se confrontato con indagini maggiori, come quella appena citata, rivela in realtà risultati molto simili. Fra chi lo ha compilato il 56% ha fra i 26 e i 30 anni, il 27,5% tra i 30 e i 35 anni, l’11% tra i 35 e i 40. La maggior parte proviene dal Nord Italia e più della metà possiede una partita Iva da più di due anni. Su dieci, cinque vivono con il proprio compagno/a o dei coinquilini, due da soli e tre con i propri genitori. Le loro professioni spaziano per quasi tutti i settori nei quali è frequente incontrare partite Iva: ingegneri, architetti, giornalisti, fisiatri, psicologi, medici, dentisti, avvocati, baristi, dietologi, consulenti, educatori, periti, parrucchieri, tatuatori, estetiste e designer.

La metà non lavora: i numeri
Seppur molto differenti fra loro (anche in termini di stipendi: il 40% afferma di guadagnare normalmente fra i 1000 e i 1500 euro al mese, il 30% più di duemila), queste partite Iva raccontano una situazione omogenea, e drammatica, di questo periodo: sul totale degli intervistati, quasi la metà non sta lavorando.

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