Quale lavoro

22/06/2020
Quale lavoro D Repubblica

Nel 1346 la peste nera uccise in Europa 20 milioni di persone, vale a dire circa un terzo dell’intera popolazione. Un impatto spaventoso, ma nonostante questo quel decennio di pandemia è ancor’oggi ricordato nei libri di storia per lo sviluppo tecnologico: vennero inventati per esempio metodi per arare i campi e armi da fuoco micidiali, perché, mancando braccianti nei campi e soldati da mandare in guerra, fu necessario trovare soluzioni alternative. Massimo Valerii, filosofo di formazione e direttore del Censis di professione, è convinto che anche nel 2020, ai tempi del Coronavirus, l’emergenza porterà l’uomo a innovare. Ma in quale direzione? Secondo Valerii, l’impatto maggiore sarà nelle fabbriche, dove robotica e automazione industriale assumeranno un ruolo predominante, non foss’altro perché le macchine sono immuni  da malattie. Questo porterà le tute blu a spostarsi dalle officine agli uffici, dove impareranno a governare la robotica da remoto. Ma anche per impiegati, manager, freelance, commercianti e artigiani il mondo del lavoro sarà molto diverso rispetto a quello pre Covid, perché il virus ha prepotentemente accelerato tendenze già in atto, come la pratica del lavoro smart per chi svolge funzioni di back office, che possono essere agevolmente gestite da remoto. A chi pensa che, presto o tardi, si tornerà tutti in ufficio, risponde Dorsey, ceo di Twitter: ha già annunciato che, anche quando la pandemia sarà un ricordo, i dipendenti potranno continuare da casa, se lo vorranno; gli immobiliaristi del quartiere finanziario di Manhattan hanno già fiutato il cambiamento ed è scattata la corsa alla vendita di uffici e headquarter che non hanno più ragion d’essere, dal momento che la nuova normalità è proprio il lavoro agile. Rivoluzioni epocali, insomma, che D racconta dialogando con tre esperti, il direttore del Censis Massimo Valerii, la sociologa del lavoro Valeria Pulignano e il demografo Alessandro Rosina.

Una premessa è d’obbligo, afferma Valerii: «Ogni previsione possibile, in questo momento, è priva di una variabile fondamentale, cioè il tempo. Se l’epidemia verrà sconfitta entro l’estate, allora l’occupazione e la società in generale non saranno sconvolti tanto quanto potrebbero esserlo se il Covid tornerà invece a farci visita in autunno». Sicuramente, però, i mesi di lockdown, seguiti da distanziamento e precauzioni, sono di per sé sufficienti a lasciare un impatto sulla nostre vite. «Quello che sappiamo è che questa crisi è diversa da quella del 2008, che era di tipo sistemico.

All’epoca, in Italia, saltarono un milione di posti di lavoro, che abbiamo ricreato in oltre 10 anni. Stavolta assisteremo a un rimbalzo veloce, ma la contrazione del 9% del Pil prevista per il 2020 non verrà totalmente riassorbita nel 2021 e avremo a che fare con un – seppur inferiore – ritorno della disoccupazione, specialmente in settori come turismo, commercio ed export, che si è bloccato».

Ecco perché si stima un ritorno alle vacanze in Italia, nel tentativo di compensare le 5 milioni di notti l’anno che i turisti cinesi trascorrevano nel nostro Paese. «Va però detto che la domanda di turismo, commercio e della tipica “dolce vita” all’italiana non è scomparsa, esiste ancora», commenta Rosina. «Ma dovranno essere totalmente ripensate. Gli italiani hanno il grande vantaggio di essere innovatori e geniali: non dubito che attraverso l’uso della tecnologia emergeranno nuove professionalità in questo campo. Per ora non sappiamo in che forma».

Cambierà in positivo pure la scansione della giornata lavorativa, che condurrà all’addio della classica routine d’ufficio 8-17, prevede Valerii: «La desincronizzazione dei tempi collettivi servirà a evitare gli assembramenti sui mezzi pubblici ed è probabile che tangenziali congestionate e treni sovraccarichi negli orari di punta diventeranno ricordo del passato», prevede il filosofo. L’altro fenomeno sarà il boom dell’e-commerce e della logistica intelligente di prossimità, nell’evidenza che, «se le persone si muovono meno, anche per effetto dell’introduzione di smart working e distanziamento, allora saranno richiesti servizi su misura, direttamente a casa propria», spiega Valerii, prevedendo attività porta a porta di parrucchieri, estetisti e massaggiatori e, più in generale, di cura domiciliare. Tutto da scrivere, infatti, è il capitolo della silver economy: per via dell’alto numero di decessi nelle residenze per anziani, risulterà indispensabile ridisegnare il sistema di assistenza alla terza età, rispondendo a una crescente domanda di servizi e professionalità domiciliari e diffuse sul territorio.

Il Coronavirus ha poi messo in evidenza il nervo scoperto del mondo del lavoro (soprattutto italiano), vale a dire la questione femminile: dice l’Istat che in Italia lavora il 56 % delle donne, contro l’81 in Svezia e il 75 in Germania. Di più, da noi il 33% è costretta a una formula di part time involontario: significa che le donne sarebbero disponibili al tempo pieno, ma non riescono a ottenerlo, o devono rinunciarvi per far spazio alla famiglia. Il tema, oggi, è se l’avvento dello smart working, che accompagnerà la vita degli impiegati ancora per molti mesi, e in molti casi diventerà la nuova normalità, giovi o meno alle donne. «Il rischio è che si trasformi in una trappola, e legandole al doppio ruolo di lavoratrice e responsabile della cura della famiglia», avverte Valeria Pulignano, docente alla Leuven University del Belgio.

Che invita le amministrazioni pubbliche a investire in una struttura di servizi – asili nido, assistenza agli anziani, servizi a domicilio, agevolazioni familiari per i padri – per evitare che la family care ricada interamente sulle donne, che “tanto, lavorano da casa”. «La seconda priorità è siglare in tempi rapidi regole chiare e certe, per impedire che l’intelligenza artificiale andi in fumo gli sforzi fatti dalla società civile per ridurre il gender gap, anche in campo salariale», avverte la sociologa, rifacendosi a una recente indagine del Fondo Monetario Internazionale, secondo cui le donne svolgono più frequentemente attività di routine rispetto agli uomini, in tutti i settori e professioni, e quindi sono maggiormente soggette a essere sostituite dall’automazione. Sono 26 milioni i posti di lavoro femminili ad alto rischio nei 28 paesi Ocse, con probabilità di automazione superiore al 70% entro i prossimi 20 anni. E poi, le lavoratrici affrontano un rischio maggiore (pari all’11%) d’essere sostituite da una macchina rispetto agli uomini (9%). Le lavoratrici meno istruite e anziane, nonché quelle con lavori d’ufficio, servizio e vendita poco qualificati, sono esposte in modo sproporzionato. «La crisi accelererà il fenomeno, se non saranno individuate normative ad hoc per contenere il gender gap», continua Pulignano, che invita le istituzioni europee a predisporre un sistema di controllo e contenimento del fenomeno. Lo smart working, insomma, oggi individuato come la soluzione al contagio del Covid-19, potrebbe avere risvolti negativi nel momento in cui precarizza alcune mansioni, «dietro alla scusa di una maggiore libertà di tempo, si rischia di perdere il rapporto di contrattazione e scambio fra datore e dipendente».

Si rischia quindi di gettare migliaia di donne nel tunnel dell’insicurezza economica: «Tra lavoratori, sindacati e aziende deve avvenire la rivoluzione della gestione per obiettivi. È evidente che un dipendente non può più essere valutato per il numero di ore che passa alla postazione, piuttosto dovrebbe essere remunerato in base ai risultati prefissati. Le aziende, poi, dovrebbero fornire la giusta formazione e i corretti mezzi per consentire ai dipendenti di svolgere i compiti da remoto al meglio e in modo efficiente. I costi di queste nuove forme non possono e non devono ricadere sulle spalle del lavoratore, che altrimenti si trasforma in freelance. Va anche concordato un diritto alla disconnessione, altrimenti si cade nel tranello del “lavoro quando voglio”, il che significa “lavoro sempre, senza certezza dei giorni di ferie e delle pause”». Sul lungo termine si rischiano isolamento e burnout:

«Le imprese devono fare ogni sforzo per mantenere viva l’organizzazione e il contatto tra colleghi», spiega la sociologa. Altra categoria fortemente colpita dalla crisi Covid-19, specie in Italia, è quella dei giovani, fa notare Rosina: «Soprattutto tra gli under 40 si trova oggi la forza lavoro più esposta all’impatto economico dell’emergenza sanitaria, pensiamo in particolare alle persone senza un contratto a tempo indeterminato o senza una professione consolidata. Come mostrano i dati dell’indagine condotta dall’Osservatorio giovani dell’Istituto Toniolo, tra ine marzo e inizio aprile, all’apice del lockdown, oltre il 55% dei trentenni intervistati ha dichiarato di sentirsi più a rischio per il lavoro rispetto a prima della crisi, e oltre il 60% diceva di vedere pregiudicati i propri piani per il futuro. I valori erano più elevati tra chi cerca lavoro, ha contratti a tempo determinato, ha attività autonoma da poco avviata». Eppure, come conferma l’indagine del Toniolo, i giovani sono anche più disponibili ad affrontare il cambiamento e a cercare opportunità: «E questa voglia di sentirsi parte attiva di un Paese che riparte con e grazie a loro, deve trovare valorizzazione se si vuole rifondare su basi solide il futuro comune».

Del resto le chance di trovare un nuovo lavoro in un momento di svolta saranno notevoli. Rosina sostiene che ci sarà impulso positivo, prodotto dallo scenario post Covid, soprattutto nella ricerca di personale con competenze digitali, nelle nuove tecnologie applicate al mondo del lavoro e nel commercio online. Avranno sviluppo anche i servizi alla persona, interessati da innovazione sociale e sperimentazioni.

Nel medio e lungo periodo risulteranno vincenti le attività che sapranno proporre soluzioni ai settori maggiormente in crisi: «Acquisiranno un vantaggio competitivo coloro che proporranno nuove modalità per il turismo in condizioni di sicurezza, per la mobilità, gli spettacoli dal vivo, le piccole attività a contatto diretto con i clienti, per le quali la domanda è comunque alta. Ancor più successo nel lungo periodo se la domanda sarà coniugata con la qualità dell’offerta, in coerenza con i processi caratterizzanti questo secolo: non solo nuove tecnologie ma anche green e silver  economy».