Quali cattolici per l’Italia del “dopo”

È opinione comune che una volta passata la pandemia, il mondo, soprattutto la sua parte più ricca, non sarà più lo stesso. Si condivida o meno questa previsione, la questione coinvolge naturalmente anche l’Italia, primo membro europeo a sperimentare gli effetti drammatici della diffusione del coronavirus. Se non altro, “il dopo” costituisce oggettivamente un’occasione unica per poter immaginare un futuro, per ridisegnare una comunità e riscoprire la sua ragione d’essere. Ed è naturale chiedersi quale ruolo potranno avere in questa fase i cattolici, che in Italia, pur non essendo rappresentati politicamente attraverso una formazione unitaria, costituiscono un elemento determinante nella società. Ogni riflessione su questo aspetto ruota intorno a quella ampiamente dibattuta della praticabilità o meno di un nuovo partito politico. Vale sempre la pena quindi andare a rileggere quello che il fondatore del Partito popolare italiano (Ppi), Luigi Sturzo, scrisse non solo nel suo celeberrimo appello ma soprattutto nel programma della sua nuova formazione politica.

In questa prospettiva, un valido aiuto viene dal libro di Ernesto Preziosi, già parlamentare, scrittore, attualmente direttore del Centro di ricerca e studi storici e sociali. Un volume dal titolo esplicito: Cattolici e presenza politica. La storia, l’attualità, la spinta morale dell’Appello ai “liberi e forti” (Editrice Morcelliana, Brescia, 2020, pagine 228, euro 18), nella cui introduzione Cataldo Naro spiega come la più importante lezione lasciata dal sacerdote calatino ai cattolici di oggi sia “la creatività”.

Si riparte da qui dunque, sebbene la nascita del Ppi sia stato solo il punto d’arrivo di un cammino avviato da tempo, nel quale si distingue ovviamente l’opera di Leone XIII e l’esperienza del movimento democratico cristiano, al quale Romolo Murri rivendicava il merito di aver fatto acquisire ai cattolici «la coscienza religiosa da una infanzia senile, costringendola a reggersi un poco da sé, a prendersi la sua responsabilità, a muoversi ed agire per iniziativa propria, a darle il senso e il gusto della libertà, farla indocile alle autorità esteriori nel nome di una più alta e sacra docilità». Il Papa della Rerum novarum, in particolare, ricorda Preziosi, percepì «un progetto di grande portata e non un mero adattamento tattico» ai cambiamenti in atto. Leone XIII riprende «tutte le affermazioni dottrinali di Pio IX», «ma agli anatemi sostituisce un linguaggio nuovo e la razionalità di una politica basata su una filosofia sociale», una risposta a «quella sindrome di accerchiamento che vede il Papa rinchiudersi in Vaticano».

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