Rapporto Giovani 2016 – Generazione perduta? No: «disorientata, ma pragmatica e intraprendente». Nonostante tutto

Non una «generazione perduta», come avvertiva Mario Draghi una settimana fa. Piuttosto, una generazione «disorientata e dispersa». Ma non “disillusa” e tantomeno “disperata”. Al contrario: gli italiani che nel 2016 hanno tra 18 e 32 anni vivono con fastidio ( e giustamente) l’etichetta stereotipata dei perdenti. Si rivelano e si rivendicano dinamici, pronti a muoversi e a imparare, capaci di guardare (finalmente) a un futuro da progettare. Proprio quello che il Paese non è stato altrettanto capace di prospettare finora, indicando una strada di sviluppo personale e professionale e valorizzando (anche con una remunerazione adeguata) l’ energia delle nuove leve. Per crescere con e anche grazie a loro .
Volta in qualche modo pagina e racconta una storia diversa rispetto alle ultime edizioni il «Rapporto Giovani 2016 sulla condizione giovanile in Italia» che l’ Istituto Toniolo di Milano realizza dal 2012con il sostegno di Intesa Sanpaolo e della Fondazione Cariplo e presentato ieri all’Università Cattolica di Milano.
Niente ottimismo di maniera, visto che il punto di vista scelto come primo “assaggio” pubblico dei dati della corposa e tematicamente variegata rilevazione sull’universo giovanile (9mila intervistati su lavoro, felicità, istituzioni, Europa, figure di riferimento) è stato il nodo studio/lavoro.
Nelle parole e nei numeri di Alessandro Rosina, professore di Demografia e statistica che abitualmente fa da front man della ricerca di cui è uno dei curatori, a prevalere sono tuttora i bilanci con il segno meno. A partire dal dato demografico: in Europa abbiamo la percentuale più bassa di cittadini under30, «e la riduzione quantitativa dei giovani è ampliata dal saldo negativo tra quelli che se ne vanno e quelli che riusciamo ad attrarre dall’estero. Il paradosso è che i nostri pochi giovani sono anche i meno valorizzati: tra i venti e i trent’anni sono di più le cose che “non” si riescono a fare ». E qui Rosina si riferisce al buco nero del non studio e del non lavoro (sui Neet solo la Grecia fa peggio di noi ), alla percentuale dei 25-29eni che non sono ancora autonomi dalla famiglia di origine (il 70% dei maschi e il 50% delle ragazze vive ancora in casa dei genitori) e al tasso di fecondità sotto i 30 anni inferiore al 40% , «la più bassa in Europa».

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