I confini mentali di un’Europa in cambiamento

Vivere a lungo e bene in una società più aperta e sicura è la sfida cruciale dei prossimi decenni. Per vincerla i veri confini da superare non sono quelli tra giovani e anziani, tra autoctoni e immigrati, ma quelli mentali tra presente e futuro, quelli che ci impediscono di far entrare il benessere comune di domani all’interno delle scelte di oggi.

I confini sono sempre delle convenzioni. Esistono, in senso statico, per il fatto che ne è riconosciuta la presenza in chi vive dall’una e dall’altra parte. In senso dinamico, trovano la loro ragion d’essere nella misura in cui il loro attraversamento produce una discontinuità riconoscibile tra ciò che valeva e si poteva fare prima e ciò che vale e si può fare dopo. I confini possono essere imposti unilateralmente, separando chi può star dentro e chi deve stare fuori. Ma possono anche essere autoimposti per vincolarsi entro uno spazio che garantisce benessere e sicurezza. Oltre i confini c’è l’ignoto o il diverso, ma ci può essere anche un nostro cambiamento subìto o colto come opportunità e sfida.

I confini non sono solo geografici. Nascita e morte delimitano, ad esempio, lo spazio individuale di vita. Tali due limiti stanno subendo, nei paesi più ricchi, inedite trasformazioni. Sempre meno persone entrano per nascita e sempre più in avanti viene spostata la conclusione del percorso esistenziale. Potremmo quindi dire che la vita è un luogo nel quale sempre meno viene favorito l’ingresso ma sempre più se ne prolunga la permanenza.

Questi cambiamenti producono due implicazioni rilevanti. La prima riguarda la ridefinizione dei confini nel rapporto tra generazioni. Il fatto di vivere sempre più a lungo e la riduzione delle nascite hanno fatto diventare sempre più scarsa la componente giovane e più abbondante quella anziana. Se non gestita adeguatamente questa trasformazione demografica rischia di far scadere la capacità di creare nuova ricchezza e di inasprire gli squilibri sociali. Difesa del benessere presente e investimento sulle opportunità future possono entrare in conflitto facendo saltare il patto generazionale. Una delle risposte principali all’invecchiamento della popolazione è invece proprio un rafforzamento del rapporto di collaborazione tra generazioni all’interno dell’ambiente lavorativo e familiare. Ma questo è possibile solo se le esigenze delle coorti più mature non si allargano fino ad invadere e depredare lo spazio strategico di crescita delle nuove generazioni, perché è dalla coltivazione di questo spazio che si crea nuova ricchezza da redistribuire.

La seconda implicazione è quella della mobilità internazionale. Una popolazione che invecchia se vuole crescere ha bisogno sia di investire sulla qualità dei giovani sia di rafforzarne la quantità con ingressi dall’esterno, soprattutto in alcuni settori del mercato del lavoro. Nel corso di gran parte di questo secolo l’Europa continuerà a trovarsi con un’offerta di manodopera dal resto del mondo ampiamente superiore alla domanda.  Molti stati membri non hanno ben chiaro di quanti immigrati hanno bisogno, ma ancor meno di quali competenze devono essere portatori e quali requisiti possono favorire una integrazione economica e sociale di successo.

Tra le trasformazioni in atto, invecchiamento della popolazione e immigrazione sono quelle maggiormente destinate a cambiare la popolazione europea. Vivere più a lungo e bene in una società più aperta e sicura è la sfida cruciale dei prossimi decenni. Per vincerla i veri confini da superare sono quelli mentali tra presente e futuro, facendo entrare a pieno titolo il benessere di domani nelle decisioni individuali e collettive di oggi.

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