La politica delle paure è la peggiore minaccia sul nostro futuro

Sono 800 mila i bambini stranieri che frequentano le scuole italiane. Erano meno del 2 percento della popolazione scolastica totale all’entrata in questo secolo e sono ora vicini al 10 percento.

Sono 800 mila i bambini stranieri che frequentano le scuole italiane. Erano meno del 2 percento della popolazione scolastica totale all’entrata in questo secolo e sono ora vicini al 10 percento. Oltre la metà di essi è nata in Italia ma tale dato è in forte crescita, tanto che gli alunni stranieri nativi sul suolo italiano sono quasi due su tre tra chi frequenta le elementari. “Stranieri” non di fatto ma per una legge che impone ad essi di non sentirsi e considerarsi cittadini nell’unico paese che conoscono e nel quale sono da sempre vissuti.  Si può forse discutere sul dare la cittadinanza al momento della nascita, ma è certamente importante riconoscere la non diversità di status nel momento in cui inizia il processo di socializzazione. Varie ricerche mostrano come il concetto di “straniero” – ovvero di diverso da chi vive qui – tra gli alunni delle prime classi delle elementari non sia legato alle origini dei genitori o al colore della pelle, ma solo alla lingua. La differenza tra bambini cittadini e coetanei esclusi da tale riconoscimento la apprendono da noi adulti; è una disuguaglianza che introduciamo noi nei loro occhi.

 

Questa nociva insensatezza non viene del tutto eliminata, ma certamente fortemente ridotta dallo “ius soli temperato” proposto dal Governo. Il testo in discussione in questi giorni alla Camera lega la possibilità di ottenere la cittadinanza per un figlio di immigrati in funzione del percorso di radicamento della famiglia e, se nato all’estero, anche all’aver svolto un ciclo completo di studi nel sistema scolastico italiano. Si può pensare che si poteva fare di più, ma certamente si tratta di un passo in avanti importante nel processo di riduzione delle diseguaglianze e di incoraggiamento dei percorsi di inclusione positiva. Se poi un figlio di immigrati, grazie al proprio valore, riuscirà a dare un contributo all’economia del paese maggiore di un coetaneo italiano, tanto meglio per lui e per il nostro paese. Opporsi a questo sarebbe come chiedere alla nazionale di calcio di mettere in squadra solo i figli di calciatori e non assegnare invece ciascun ruolo a chi – indipendentemente dalla provenienza dei genitori – ha più talento per svolgerlo.

Lo “ius soli temperato” è una misura utile, di civiltà e a costo zero, che non toglie nulla a nessuno e aumenta le possibilità di costruire un futuro più solido per tutti. Che ci siano forze politiche e parti dell’opinione pubblica che contrarie dimostra quanto piccoli siamo di fronte ai grandi cambiamenti in atto e alle sfide che pongono. Ma dimostrano anche quanto negli ultimi decenni la politica abbia lasciato sole e in condizione di deprivazione materiale e culturale larghe parti della popolazione italiana, con la conseguenza che ore esse vedono con sospetto non solo l’arrivo di profughi ma anche i diritti dei bambini di immigrati che lavorano e pagano le tasse. Un tema lucidamente sollevato da Zygmunt Bauman qualche giorno fa al Piccolo Teatro Grasso. Il sociologo ha in particolare sottolineato come senza una politica che sappia guidare il paese nelle fasi di cambiamento, larghe parti della società tendano a vivere come minaccia tutto ciò che è nuovo e diverso, producendo una reazione “nella quale si confondono i timori per il lavoro, per le infiltrazioni terroristiche, per la perdita di tradizioni”. Se vogliamo diventare migliori dobbiamo invece imporci di cambiare, per questo la politica che asseconda le nostre paure è la minaccia peggiore per il nostro futuro.

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