L’alleanza tra politica, pratiche e pensiero

Milano è diventata in questi anni un luogo di sperimentazione privilegiato su come ripensare il nostro modello di sviluppo. Ma affinché la strada promettente imboccata diventi un vero modello di successo deve mettere assieme il meglio che sa esprimere su tre “p”: la politica, le pratiche e il pensiero. Chiunque vinca le primarie, il progetto da costruire è questo ed ha bisogno nel metodo, prima ancora che nel merito, di essere innovativamente inclusivo.

La decisione su chi sarà il nuovo sindaco di Milano dipenderà più dal voto delle primarie che da quello di giugno. Sono molti i motivi per andare a votare domenica, qualsiasi sia il candidato preferito. Majorino ha fatto una campagna coraggiosa e appassionata, partendo da un’esperienza amministrativa solida e seguendo una vocazione propria, senza aspettare direttive o spinte dall’alto. Riempirlo di consensi sarebbe un segnale forte di una città che, più che i conti freddi, mette al centro le persone e premia l’autodeterminazione. Balzani raffigura la continuità con Pisapia, anche se non necessariamente con la sua amministrazione. Ha caratteristiche importanti dalla sua parte, come l’essere donna e competente. Chi pensa di votarla solo per evitare di consegnare la città al manager di Expo fa un torto alle sue alte qualità. Giuseppe Sala rappresenta la Milano pragmatica, quella di chi non si sente necessariamente né per Renzi né contro Renzi e che assegna un bilancio positivo, nella sostanza, all’Esposizione universale. Sala ha gli stessi difetti di Pisapia: non è donna e non è giovane. Ha però, come Pisapia, dalla sua parte assessori che tali caratteristiche le possiedono e che hanno anche saputo dimostrare sul campo il proprio valore.

Ma il motivo di gran lunga più importante per andare a votare è la città stessa. Ciò che può rendere davvero belle le primarie, trasformandole in energia positiva per il percorso successivo, è l’intensità della partecipazione dei cittadini. I contenuti dei confronti pubblici tra i contendenti sono rimasti sotto le aspettative. Nello scontro interno i candidati non sono riusciti a far emergere il meglio di quanto possono fare per Milano, forse proprio perché il loro registro più consono è quello della collaborazione. Un ampio afflusso ai seggi può aiutare allora a superare dissidi e dissapori, ma anche a sgomberare il campo da sogni e slogan per mettere al centro una riflessione progettuale sui temi veri.

Su quanto è in gioco in questo passaggio, non solo per Milano, lo ha rivelato bene lo sguardo “esterno” proposto dal pugliese Annibale d’Elia – tra i maggiori esperti in Italia di politiche giovanili e innovazione urbana – in un articolo pubblicato sugli “Stati generali”. Al binomio inclusione / innovazione – riconosciuto come “l’intuizione più interessante e l’eredità più preziosa dell’esperienza Pisapia” – D’Elia aggiunge anche la sua personale “in” di invidia. Le sue riflessioni sono infatti una conferma di come Milano sia diventata in questi anni un luogo di sperimentazione privilegiato su come ripensare il nostro modello di sviluppo, su come sia possibile produrre crescita generando valore sociale prima ancora che beni e servizi. Ma affinché la strada promettente imboccata diventi un vero modello di successo è necessario che la nostra città evolva in una comunità capace di contrastare le forze della disgregazione e far prevalere quelle della coesione. Quello che serve, in tale direzione, è soprattutto un’alleanza tra generazioni, che promuova il fare dei più giovani; un connubio tra esperienza e cambiamento, che sia funzionale all’apertura al nuovo; un ponte tra tradizione industriale e “intelligenza distributiva dei makers”, che sia slancio verso il futuro. Milano può farlo se mette assieme il meglio che sa esprimere su tre “p”: la politica, le pratiche e il pensiero. Chiunque vinca domenica prossima, il progetto da costruire è questo ed ha bisogno nel metodo, prima ancora che nel merito, di essere innovativamente inclusivo.

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