L’efficacia del recovery plan? Dipenderà dalle risorse ai giovani

Un governo solido, in grado di proporre un progetto convincente per una nuova fase di sviluppo del Paese, è ciò di cui l’Italia ha bisogno.

Il nuovo premier incaricato sa bene che se l’Unione europea si gioca molta della sua credibilità con Next Generation Eu, è altrettanto vero che il successo di tale iniziativa dipende dall’Italia, da come gestirà la fetta di fondi di cui è destinataria. Un governo solido, in grado di proporre un progetto convincente per una nuova fase di sviluppo del Paese, è ciò di cui l’Italia ha bisogno. La debolezza del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) va considerata causa e conseguenza dell’instabilità del quadro politico.


È quindi cruciale ritrovare compattezza attraverso proposte che all’interno e all’esterno diventino convincenti, mirando dritto a ciò che serve al Paese, che è coerente con ciò che l’Europa ci chiede. Per questo Mario Draghi può essere la persona giusta a capo del nuovo governo. Serve il coraggio di riforme che consentano all’Italia di superare gli squilibri di cui da troppo tempo soffre, favorendo un processo di crescita che la riallinei al percorso di sviluppo dell’eurozona e renda sostenibile il debito pubblico.
Questa consapevolezza poggia sulla popolazione italiana e sulle nuove generazioni, i principali perdenti del mancato sviluppo del Paese, che guardano con attese positive un piano chiamato Next Generation. In vari interventi, compreso quello al Meeting di Cl dell’anno scorso, Draghi ha evidenziato come ai giovani serva un Paese che funzioni attorno a loro, non sussidi. È, allora, interessante osservare come i dati di una indagine promossa da Osservatorio giovani dell’Istituto Toniolo e condotta da Ipsos, su un campione rappresentativo di residenti tra i 18 e i 34 anni, mostrino come sia cambiato tra primavera e autunno 2020 l’atteggiamento verso l’Ue. La percentuale di fiducia nei suoi confronti, nella rilevazione fatta dopo l’annuncio del Next Generation Eu, si trova salita sopra il 50%, su valori vicini a quelli della Presidenza della Repubblica, mentre rimane sotto tale livello il dato del (precedente) governo e molto più basso quello dei partiti politici. In particolare l’iniziativa europea è l’azione messa in campo che trova il maggior consenso, il 56% degli intervistati, ma con ampia quota di chi non si sbilancia del tutto e lascia il giudizio in sospeso in attesa di vedere come le risorse verranno utilizzate.
Non sono le risorse in sé che faranno la differenza, ma l’opportunità che offrono di reimpostare la strategia di sviluppo, passando da un’Italia che costringe i giovani ad adattarsi al ribasso rispetto a quanto il sistema Paese riesce a offrire, a una Italia che allinea al rialzo le sue capacità di crescita al meglio di quanto le nuove generazioni possono dare. Non dobbiamo dimenticare che le grandi risorse messe a disposizione dall’Europa non sono un merito, ma sono state riconosciute per le maggiori fragilità che ci caratterizzano e la minore capacità a far convergere verso la media Ue alcuni cruciali indicatori per uno sviluppo integrato e sostenibile.
La più recente bozza del Pnrr contiene un quadro più coerente di proposte condivisibili rispetto alla versione precedente, ma continua ad avere limiti di visione che rendono debole anche il disegno di potenziamento dell’infrastruttura economica, tecnologica e sociale. Uno dei limiti principali è non porre la questione demografica tra le trasformazioni centrali dei cambiamenti in corso che condizionano il percorso di sviluppo italiano. Nell’ultima versione del Pnrr ci sono solo accenni sparsi sulla salute del crescente numero di anziani e pochi passaggi generici sulla bassa natalità. Il fatto che siamo il Paese con i peggiori squilibri demografici in Europa non viene preso in esplicita considerazione. Tanto meno si fa riferimento alla riduzione quantitativa delle giovani generazioni in transizione verso le età centrali della vita attiva e produttiva. Una transizione debole dal punto di vista quantitativo, ma che si combina anche con indicatori su livelli formativi e condizioni occupazionali tra i peggiori in Europa. A questo si aggiunge un indebolimento della creazione di nuovi nuclei familiari che va ad accentuare gli squilibri demografici. Questa visione sistemica e integrata manca nel Pnrr, come manca il riconoscimento che da questa transizione dipende la capacità nei prossimi anni di produrre nuova ricchezza, di rendere sostenibile il debito pubblico, di poter continuare a finanziare il sistema di welfare in una popolazione che invecchia, di alimentare gli stessi processi innovativi alla base della transizione digitale e verde.
Per uscire dalla spirale negativa che compromette tale transizione è necessario cambiare strategia di sviluppo. La demografia aiuta a mettere al centro della lettura della realtà le dinamiche dei corsi di vita e la relazione tra generazioni, generi e territori all’interno di una visione sistemica. Questo sguardo integrato e dinamico è fondamentale per ripensare in modo nuovo il welfare italiano, ma è assente o molto debole nel Pnrr.
Giovani, donne e residenti al Sud non vanno considerati come categorie rispetto alle quali distintamente vedere la ricaduta di ogni specifica misura. Il nuovo welfare deve mettere, piuttosto, al centro la costruzione dei percorsi di vita delle persone, con strumenti che si adattano alla necessità di ciascuna nuova generazione di ridurre i rischi e cogliere le opportunità del proprio tempo, per entrambi i generi e in tutte le aree del Paese, in relazione positiva e collaborativa con le altre generazioni.
All’interno di questa prospettiva, il nostro Paese – come emerge anche dal confronto con gli altri Stati europei – ha bisogno di rafforzarsi sul versante dei servizi, con una visione integrata che abbracci tutto il corso di vita e in grado di sostenere e accompagnare i momenti di passaggio. I servizi per l’infanzia, da potenziare non solo come copertura ma anche come qualità, sono sia il punto di partenza per un percorso educativo solido, sia uno strumento cruciale per conciliare famiglia e lavoro nel momento dell’arrivo di un figlio. All’estremo opposto, i servizi domiciliari per gli anziani non autosufficienti devono poter migliorare le condizioni di benessere in tale fase della vita, rispondendo a una domanda crescente di assistenza che grava pesantemente sulle famiglie. Tutto questo deve essere rafforzato assieme al sistema dei servizi per l’impiego e orientamento di carriera, fondamentale per la transizione scuola-lavoro, ma anche per il rientro dopo una interruzione per la nascita di un figlio o per cura di un familiare, per gestire le transizioni all’interno del mondo del lavoro e adattarle al meglio alle diverse condizioni ed esigenze delle fasi di vita. L’auspicio è allora quello di un governo in grado di rendere la promozione dello sviluppo umano e professionale dei cittadini la miglior spinta per lo sviluppo sociale ed economico del Paese.

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