Ciao Milano bella, la decrescita di una Capitale

16/07/2020
LA REPUBBLICA
Ciao Milano bella, la decrescita di una Capitale LA REPUBBLICA

MILANO – È una Milano un po’ più piccola e preoccupata, quella che si è risvegliata dal letargo imposto dal Covid. Una città che, proprio in questi giorni, sta vivendo la sua prima Settimana digitale della moda senza il tutto esaurito negli alberghi e il traffico impazzito. Una città svuotata, con i grattacieli degli uffici che stanno ancora vivendo di smart working e i turisti che rischiano di crollare dagli oltre 10 milioni dell’ultima stagione d’oro a quattro. Una città che finora era abituata a macinare record, scalare classifiche, ma che, adesso, è tornata a scendere sotto la quota simbolo del milione e 400 mila residenti appena raggiunto. La prima frenata dopo anni.

Un dato, quello dell’Anagrafe, che a fine giugno fissa l’asticella degli abitanti a un milione e 398 mila, che racconta dei due mesi più crudeli del virus, marzo e aprile, ma anche di un effetto lockdown che ha rallentato gli arrivi sotto la Madonnina. Un altro indizio di una possibile decrescita infelice di una Milano che, in controtendenza rispetto al resto del Paese, non sembrava voler più smettere di crescere. Ed è in un quadro generale che il sindaco Beppe Sala legge il numero dei residenti: “Milano pagherà un prezzo a questa pandemia. Credo che dovremo fronteggiare un paio di anni di difficoltà che si diffonderanno su tutte le variabili. Ad esempio: quanto saremo attrattivi per gli studenti? Torneremo come prima se riusciremo a fare le politiche giuste. Ma io ci conto, perché se non ci riuscirà Milano non ci riuscirà nessuno in Italia”.

La corsa è iniziata nel 2015, l’anno dei riflettori internazionali di Expo, quando la città, che veleggiava attorno al milione e 350 mila, ha cominciato a ripopolarsi. Il 30 settembre del 2019, Sala ha festeggiato il traguardo: Andrea, 31 anni, avvocato di origini catanesi, è diventato il residente numero 1,4 milioni. Il dato più alto almeno degli ultimi vent’anni. E anche allora la scalata è proseguita fino alla ulteriore vetta dello scorso febbraio: 1.406.057. Eppure, dopo due mesi in cui, rispetto a una media di 1.100 morti, si è saliti attorno ai 2.200, e con una quantità di nuovi iscritti che in proporzione, rispetto al passato e alla quantità di cancellazioni, ha viaggiato con meno velocità, a fine giugno il contatore è sceso sotto al livello simbolo. Il segnale di una mutazione più profonda che il Covid potrebbe imporre. Perché sì, ai tempi della crisi delle nascite, Milano era diventata grande diventando una calamita per quanti, soprattutto giovani, arrivavano dal Sud e dall’estero, dall’hinterland e da Roma, per studiare, lavorare. Per il futuro. “Forze esogene”, le chiama Alessandro Rosina, docente di Demografia e Statistica sociale della Cattolica. Una spinta “esterna che si è indebolita e difficilmente potrà tornare, a regime nel post Covid, ai livelli precedenti. È verosimile anche una riduzione dei city user, compresi gli studenti universitari”. Serve uno scatto: “Milano deve avere l’ambizione di porsi all’avanguardia nella definizione di modalità nuove, coerenti con un ripensamento generale del ruolo delle grandi città, non necessariamente meno centrale ma diverso da come è stato sinora. E sempre meno potrà trascurare il rafforzamento della componente endogena della crescita: la natalità”.

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