Come cambia la scuola

03/01/2024
Come cambia la scuola IL GIORNO - 3 gennaio 2024

«Stiamo assistendo a una erosione dal basso: si riduce la presenza di alunni alle elementari, alle medie e, via via, alle superiori.Ma questo è il momento di investire, non di risparmiare». Così il demografo Alessandro Rosina, professore alla Cattolica di Milano e coordinatore scientifico del “Rapporto giovani“ dell’Istituto Toniolo, inquadra la sfida.

Qual è la situazione?

«Le nascite continuano a diminuire anche a Milano e provincia, che confermano l’andamento del Paese: i livelli di fecondità sono molto bassi, tra i più bassi d’Europa. Siamo molto al di sotto rispetto alla media di due figli per coppia: significa che le generazioni più giovani sono sempre meno rispetto alle precedenti e non si notano miglioramenti».

Come cambia la scuola?

«Oltre a esserci sempre meno nuovi nati, è cresciuta la percentuale di figli di migranti di seconda generazione. Avremo classi con sempre meno alunni e con una composizione etnica sempre più generalizzata. Credo che però sia questo sia il momento di investire qualitativamente sulla formazione anziché “tagliare“, riducendo il numero di insegnanti per alunni. Dobbiamo compensare la riduzione quantitativa con un potenziamento qualitativo».

Come?

«Aiutando i giovani a raggiungere più competenze e una formazione più solida, facendo in modo che la scuola sia più inclusiva e dia opportunità a tutti, indipendentemente dal background di partenza. Oggi abbiamo pochi giovani e più fragili, che hanno bisogno di essere seguiti di più. La scuola è in difficoltà, anche nei contesti come Milano e Lombardia, che sono quelli che favoriscono dinamismo sociale, c’è un degiovanimento quantitativo e qualitativo».

E aumentano i Neet, i giovani che non studiano né lavorano.

«E il rischio è che questa platea aumenti. La didattica tradizionale e passiva non funziona più, bisogna stimolarli dal punto di vista della concentrazione, servono investimenti, non accorpamenti».

Nonostante l’inverno demografico in corso, le liste d’attesa ai nidi sono infinite…

«Altro paradosso e altro investimento che va fatto. Soprattutto in un contesto come quello di Milano, dove madri e padri puntano molto sul lavoro, i figli si hanno se c’è conciliazione. Altrimenti si rinuncia o si rinvia continuamente. I servizi all’infanzia, poi, non sono importanti solo per questo: diventano punti di partenza per lo sviluppo di competenze».

Altro tema nella città universitaria: il caro-affitti allontana?

«Un punto dolente di Milano, che attira per le opportunità di lavoro e la qualità della formazione, ma se gli affitti restano inaccessibili parte del ceto medio che investirebbe sulla formazione dei figli potrebbe guardare altrove. Il rischio è che Milano rinunci ad avere quel ruolo importante di creare capitale umano per il Paese».

Come invertire la rotta?

«La popolazione che invecchia aumenta la necessità di politiche sociali di cura e sviluppo. Ma se è debole la capacità di generare sviluppo il welfare inclusivo non regge. Gli squilibri demografici mettono a rischio il sistema. La politica più a favore degli anziani è quella che rafforza proprio il ruolo delle nuove generazioni, investendo su di esse».