Contro la denatalità servono misure urgenti e risorse

06/09/2025
Contro la denatalità servono misure urgenti e risorse MESSAGGERO VENETO – 6 settembre 2025

«Contro la denatalità servono misure urgenti e maggiori risorse Il governo non è incisivo»
II docente Rosina parla delle sfide legate all’inverno demografico «L’emigrazione dei giovani è uno dei fenomeni più sottovalutati»
«Se non mettiamo in atto le contromosse necessarie, tra cinque anni anche lo scenario più favorevole rischia di essere insufficiente»
Rocco Corrado /VENEZIA
L’ Italia è tra i Paesi che da più tempo convivono con una fecondità persistentemente bassa». Da qui bisogna partire per tentare di comprendere un futuro che si sta già scrivendo: meno residenti, più anziani, meno forza lavoro e meno coesione sociale. Alessandro Rosina, docente di Demografia all’Università Cattolica di Milano, che scenario abbiamo di fronte? «Nei prossimi 25 anni perderemo oltre 4 milioni di residenti, ma gli over 75 aumenteranno di un ammontare analogo. La popolazione in età lavorativa si ridurrà di 6 milioni di persone». Non un futuro roseo.

«Il percorso in cui si è inserita l’Italia rischia di essere quello di un invecchiamento irreversibile».

Quanto la bassa natalità e l’invecchiamento della popolazione sono legati alla stagnazione economica e alle politiche sociali?

«La carenza di risorse tende a indebolire gli investimenti verso le nuove generazioni e rischia di vincolare progressivamente i Paesi in accentuata crisi demografica in un percorso di basso sviluppo, basse opportunità e basso benessere».

E così si fanno meno figli.

«I giovani italiani non sono meno desiderosi di diventare genitori rispetto ai coetanei europei, ma si trovano a scegliere in contesti che non favoriscono la realizzazione dei loro progetti di vita. Anche le imprese possono fare molto in questo».

Cosa?

«Valorizzare di più il capitale umano aiuterebbe l’Italia a crescere meglio e i giovani a mettere basi più solide per una loro autonomia e la formazione di una propria famiglia».

L’impatto dell’inverno demografico su scuola e università.

«Senza interventi può essere dirompente, con rischio di chiusura dei presidi scolastici in molte aree. Secondo le stime Inail-Mef gli alunni scenderanno da circa 7 milioni a meno di 6 milioni prima del 2035».

Il sistema sanitario è pronto a una popolazione sempre più vecchia?

«Dobbiamo mettere basi solide alla società della longevità verso cui stiamo andando, è necessario investire per consentire alle persone di tenersi salute e attive a lungo. Ma per farlo serve che non si riduca troppo la popolazione in età lavorativa. Il rischio è uno scenario in cui le pensioni saranno mediamente basse e il sistema di welfare pubblico insufficiente, così solo una parte minoritaria della popolazione potrà permettersi di vivere bene e sempre più
a lungo».

Quanto influiscono sul fenomeno i cambiamenti nei modelli familiari?

«La famiglia italiana non è più quella del secondo dopoguerra: si sono indeboliti sia i legami orizzontali, con l’aumento dell’instabilità di coppia, che quelli verticali, per la denatalità. Il problema sta nella carenza di politiche a supporto».

Eppure il governo Meloni sostiene di aver messo il tema al centro.

«La debolezza delle politiche familiari è anteriore a questo governo, che non sta comunque incidendo in modo rilevante. Tutta l’Europa è in crisi demografica, ma noi siamo lontani dalle migliori esperienze europee. Servirebbe un impegno maggiore di risorse».

Quali soluzioni?

«Incentrarsi meno su bonus e incentivi occasionali e agire in modo strutturale sul rafforzamento di tutto il percorso. Le proposte dell’attuale governo, inoltre, tendono a rafforzare il ruolo tradizionale femminile verso i figli, lasciando marginale quello dei padri: nella legge di bilancio si rafforzano i congedi parentali ma non quelli di paternità». L’emigrazione dei giovani.

«E uno dei fenomeni più sottovalutati, che porta a un triplo danno: il costo di averli formati e persi, il mancato ritorno che si sarebbe ottenuto se fossero rimasti, assieme al rendere demograficamente più solidi e competitivi i Paesi con cui ci confrontiamo sul mercato internazionale».

Cosa spinge i giovani ad andarsene?

«La mobilità geografica è diventata una risposta alla mobilità sociale bloccata. Per questo essere attrattivi verso i giovani dovrebbe diventare una priorità strategica. Altrimenti il rischio è che il Paese invecchi anche nella sua capacità di immaginare il futuro».

L’immigrazione.

«Tutti i settori sperimentano una carenza di rinnovo generazionale, ma quelli che più impiegano il lavoro straniero si trovano meno penalizzati. Riescono a tenere bassi i costi perché assorbono maggiormente manodopera immigrata, ma questo abbassa ulteriormente la qualità e contribuisce a rendere il Paese meno competitivo. L’immigrazione, inoltre, ha un ruolo sul rialzo delle nascite, ma in carenza di politiche a supporto anche questo contributo tende a ridursi».

Come reagiscono gli altri Paesi europei?

«La Francia ha sempre promosso politiche solide a sostegno della natalità che spiegano perché la fecondità non sia mai scesa sotto il livello di 1, 5. La Svezia ha sempre puntato sulla conciliazione tra lavoro e famiglia e conta adesso tassi di occupazione femminile tra i più alti in Europa. La Germania ha fortemente rafforzato le politiche familiari e migratorie con particolare attenzione a formazione e integrazione».

Cosa ci dicono queste esperienze?

«Che l’aiuto economico è efficace nel breve periodo, ma per il medio-lungo periodo serve un processo di solido miglioramento di servizi e strumenti a favore delle famiglie, oltre che una migliore gestione dell’immigrazione».

Abbiamo ancora tempo?

«Se non mettiamo in atto le misure di cambiamento di rotta necessarie, tra cinque anni anche lo scenario più favorevole rischia di diventare insufficiente».