Culle vuote, bilanci fragili

01/09/2025
Culle vuote, bilanci fragili FORTUNE - 01/09/2025

LE NASCITE CONTINUANO A CALARE, la fecondità resta tra le più basse d’Europa, e la popolazione è sempre più anziana. In Italia il tempo scorre, inesorabile, mentre i numeri che dovrebbero migliorare peggiorano. È un Paese che invecchia senza rigenerarsi, con effetti a catena sul lavoro, sull’economia e sul welfare. Il demografo Alessandro Rosina lancia l’allarme: siamo in un “avvitamento verso il basso” e il rischio è che il processo “diventi irreversibile”:

Nel 2023 lei diceva che avevamo 15 anni per invertire il trend delle nascite e raggiungere i livelli di fecondità di Francia e Svezia. Ora ne abbiamo 13: come stiamo andando?

Male. Continuiamo ad avere una condizione fragile all’interno di un contesto che è andato complicandosi. Negli ultimi due anni le nascite anziché invertire il trend sono andate ulteriormente a diminuire. Il numero medio di figli per donna è sceso sotto 1,2, confermandosi su livelli tra i più bassi in Europa. Nel frattempo si è ridotta anche la fecondità nel resto d’Europa, compresa la Francia. Ma le differenze rimangono ampie. In Francia il tasso non è mai sceso sotto 1,5 figli, mentre in Italia è sotto tale soglia da oltre 40 anni. Questo sta portando ad una progressiva riduzione delle coppie italiane nell’età in cui si forma una famiglia e si hanno figli, con il rischio di ancor meno nascite e ancor meno potenziali genitori in futuro.

L’Italia è uno dei Paesi con il più basso tasso di natalità al mondo. Quali conseguenze economiche concrete comporta una popolazione sempre più anziana e meno numerosa, soprattutto in termini di produttività e sostenibilità del welfare?

L’aumento della popolazione anziana porta ad una crescita di spesa previdenziale e sanitaria. Come potremo rispondere a tale aumento se già oggi il carico è considerato difficile da sostenere? Il rischio è di dover ridurre ulteriormente le condizioni di accesso alla pensione e alle cure sanitarie. D’altro lato diminuisce la popolazione in età lavorativa, di conseguenza, rispetto agli altri Paesi, tenderemo ad avere meno crescita economica e quindi meno risorse non solo per il welfare degli anziani, ma anche per la formazione, le politiche attive, abitative e di conciliazione, fondamentali per migliorare l’occupazione giovanile e femminile. Questo significa ancor meno crescita economica e condizioni meno favorevoli per una ripresa della natalità.

Sulle politiche per la demografia abbiamo fatto progressi? Cosa dicono i dati?

I nostri dati, in coerenza con quelli di altre ricerche nazionali e comparative internazionali, mostrano che il numero desiderato di figli è in media attorno a due. Se il numero effettivamente realizzato è molto più basso in Italia, significa che le condizioni oggettive per averli sono più deboli. E’ aumentata nelle società moderne avanzate la necessità di una solida formazione e di politiche efficienti di incontro tra domanda e offerta di lavoro per le nuove generazioni. Se si investe meno su questi fronti, comprese le politiche familiari, prevale l’incertezza sul lavoro, sui salari e sul futuro, che blocca le scelte impegnative e responsabilizzanti che vanno oltre il presente, come l’avere un figlio. Non basta il sostegno economico, serve un forte potenziamento strutturale che consenta alle giovani coppie di tenere positivamente assieme scelte di vita e di lavoro: servizi per l’infanzia di qualità e accessibili, part-time reversibile, congedi di paternità equivalenti a quelli di maternità per favorire la condivisione oltre alla conciliazione.

Il passaggio generazionale della ricchezza è un tema cruciale. In un Paese con sempre meno giovani, come cambiano le dinamiche del risparmio e quali rischi ci sono per l’equità tra generazioni?

I rapporti tra generazioni sono in profonda trasformazione sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo. Il nostro Paese ha un elevato debito pubblico ma può contare ancora su una consistente ricchezza privata. Il primo però va a carico di tutti i giovani, la secondava a vantaggio di chi è nato in una famiglia benestante. La famiglia come ammortizzatore sociale per i giovani è una caratteristica italiana che si è accentuata nel tempo per l’aumento dell’incertezza nella condizione dei giovani e per la riduzione, nelle famiglie, di figli e nipoti in rapporto a genitori e nonni. Ma condizionare il benessere delle nuove generazioni a quanto riceveranno nel passaggio generazionale porta a vincoli sul come e quando realizzare le proprie scelte, oltre a rendere persistenti le diseguaglianze generazionali.

In un rapporto del Cnel lei ha scritto che i giovani under 35 occupati caleranno di 2,3 milioni in 20 anni: quanto inciderà la fuga di cervelli?

L’Italia rischia di perdere ulteriormente di attrattività se non migliora la formazione, l’investimento in ricerca e sviluppo, la valorizzazione del capitale umano delle nuove generazioni nelle aziende e nelle organizzazioni. Se non lo fa ora perderà ancor più giovani, sia perché se ne vanno e sia perché chi rimane rivede al ribasso le proprie scelte, compresa quella di avere figli. Se non cambia nulla. l’inerzia demografica ci porta verso lo scenario basso tra quelli delineati dalle previsioni Istat, che corrisponde a un flusso verso l’estero che sale a 200mila uscite l’anno, in combinazione con un saldo migratorio nullo e nascite che crollano sotto le 300mila. Lo scenario di un paese moribondo e quindi già entrato tra gli esiti possibili prospettati dall’Istat.

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