I NOSTRI GIOVANI, I PIÙ DANNEGGIATI DALLA PANDEMIA

Professore, cosa può dirci dell’impatto della pandemia sui progetti di vita dei giovani? I giovani italiani tra i 18 e i 34 anni sono i più preoccupati per l’impatto della pandemia sul loro futuro: oltre il 60% vede i propri progetti di vita a rischio, più le donne (67%) che gli uomini (55%). E il 36,5% di coloro che avevano intenzione di concepire un figlio entro l’anno ha finito per accantonare l’idea a causa del coronavirus. A dircelo è una fresca indagine dell’istituto Toniolo, realizzata all’apice del lockdown assieme al ministero per le Pari opportunità e la famiglia. La ricerca ha confrontato i ventenni e trentenni francesi, spagnoli, inglesi e tedeschi con i nostri. Gli italiani, più di tutti, temono che l’emergenza sanitaria li porti non a congelare, ma a rinviare sine die o a cancellare progetti importanti come la conquista dell’autonomia, la formazione di una famiglia, la scelta di un figlio. Questo va ad inserirsi in una realtà già difficile. I nostri ragazzi infatti sono quelli che vivono più a lungo in casa con i genitori, che hanno maggiori problemi d’inserimento nel mondo lavorativo, che fin oltre i 30 anni non studiano e non lavorano, che non godono di una continuità di reddito per cui continuano a dipendere dai genitori. La pandemia li ha colpiti maggiormente proprio per la loro vulnerabilità e il clima di sfiducia che respirano. Molti intorno ai 20 anni, cioè all’ingresso nella vita adulta, avevano già incrociato un’altra crisi pesante, la recessione economica del 2008-2013. Da allora si sono acuite le distanze rispetto alla condizione media dei coetanei europei. E loro non capiscono il perché. Il divario è forte soprattutto con la Germania, con la quale c’è uno scarto che supera i 20 punti percentuali. I giovani tedeschi sono i più ottimisti sulla possibilità di lasciare pressoché immutati o solo posticipare i propri piani di vita. Non a caso prima della pandemia molti nostri giovani migravano nel Nord Italia e poi all’estero, con maggiore destinazione la Germania.

La Germania che fino a 10-15 anni fa aveva una denatalità come la nostra e oggi ha indici di fecondità assai più alti. Qual è il suo segreto? Per invertire il trend della denatalità servono politiche per la famiglia che spazino dai servizi all’infanzia ai tempi di conciliazione con il lavoro, e che devono essere soprattutto solide e continuative nel tempo, Serve cioè creare precisi strumenti su cui le famiglie sanno di poter contare al di là dei governi e delle contingenze. L’esempio della Germania, che da 1,3 è cresciuta a 1,6 figli per coppia in pochi anni, ci fa capire che anche chi è caduto molto in basso può recuperare grazie a politiche attive efficaci, che tra l’altro vanno continuamente rimesse in discussione e adeguate ai cambiamenti del mondo del lavoro e ai fabbisogni delle famiglie giovani. Serve dimostrare un’attenzione continua nei loro confronti in modo che percepiscano che il paese investe su di di loro. Avere figli oggi non è più una scelta scontata, viene fatta solo da chi trova un terreno fertile e un clima di fiducia intorno a sé, altrimenti rimane una scelta minoritaria di quei pochi che sono fortemente convinti o dei gruppi sociali più benestanti.