I trenta-quarantenni costretti a tornare a vivere a casa dei genitori

04/08/2020
LINKIESTA
I trenta-quarantenni costretti a tornare a vivere a casa dei genitori LINKIESTA

«Mi sembra di aver fatto un salto indietro di dieci anni. Per mia madre sono tornata ad essere una figlia da accudire. È dura, a quasi quarant’anni, pensare di non poter provvedere a me stessa».

Se il futuro spezzato dei giovani d’oggi si potesse sintetizzare in una frase, sarebbe questa. A pronunciarla all’altro capo del telefono, in un caldo pomeriggio di fine luglio, è Lisa (nome di fantasia), 38enne della provincia di Napoli. Dopo vent’anni di lavoro nel turismo, di cui dieci lontano da casa, a Roma, da giugno è tornata a vivere in famiglia. Troppo compromesso il suo settore, troppo caro l’affitto del suo monolocale, troppo pochi i soldi in tasca: lì dove non ti ammazza, il coronavirus ti mette in ginocchio economicamente.

«È stata una scelta obbligata, se non volevo dare fondo ai miei risparmi. L’azienda mi ha messo in cassa integrazione a inizio marzo, ma ancora non ho visto un euro. I dirigenti però non li hanno toccati», spiega Lisa a Linkiesta. «In verità c’era aria di crisi già da prima del lockdown, per cui mi ero portata avanti, dando la disdetta al mio padrone di casa. A marzo è come se avessi predetto il mio stato attuale: me lo sentivo che non sarebbe stata una cosa breve».

Il rientro a casa è stato pesante. «Le prime settimane sono state molto dure. Mia madre mi dà da mangiare e un tetto sopra la testa, ma non mi sento di chiederle di più, anche se lei sarebbe disponibile», dice Lisa. Di colpo, la vita si è fermata. «E dire che non ho figli, né un compagno, solo per questo ho potuto prendere questa decisione. Ma non oso immaginare in che stato si trovi chi ha perso il lavoro ed ha famiglia».

Che il coronavirus abbia messo in ginocchio le generazioni più giovani è un fatto globale. Secondo la società immobiliare Zillow, negli Stati Uniti sono 2,7 milioni i giovani adulti che sono tornati a vivere con i genitori o i nonni fra marzo e aprile, per un totale di 32 milioni di persone. In Italia, le statistiche lasciano intuire che il trend non sia molto diverso.

Secondo un recente rapporto di Nomisma, all’uscita dal lockdown a maggio 1 trentenne su 5 denunciava il deterioramento della propria situazione occupazionale, e il 44% degli under 40 era in difficoltà ad affrontare almeno tre voci di spesa (bollette, canone di affitto, rate dei finanziamenti). In totale, rileva Nomisma, sono oltre 3 milioni gli italiani che durante il lockdown hanno gestito con tribolazione le finanze familiari. L’affitto è il tasto più dolente: a inizio maggio un terzo dei locatari, il 33%, si dichiarava in difficoltà per il pagamento del canone mensile. E il 40% ha persino dovuto ridimensionare la spesa alimentare.

Secondo i dati dell’Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo, oltre il 55% dei trentenni ha dichiarato di sentirsi più a rischio per il lavoro rispetto a prima della crisi, e oltre il 60% dice di vedere pregiudicati i propri piani per il futuro. Considerando che già a fine 2018 ben il 70% degli under 30 erano tornati ad abitare a casa con i genitori (erano 7 milioni i giovani che in quell’anno vivevano ancora in famiglia, secondo i dati Istat), è probabile che con l’avvento del coronavirus questi numeri siano cresciuti ancora di più.

«La pandemia ha colpito un’Italia già in difficoltà, ma soprattutto si è abbattuta su una generazione che per larga misura dipendeva economicamente dai genitori anche prima. E questo vale non solamente per gli under 25 ma anche per i 30-34enni, la fascia in cui uno dovrebbe essere già indipendente dalla famiglia di origine e impegnato nella realizzazione dei propri progetti di vita», spiega a Linkiesta Alessandro Rosina, demografo dell’Università Cattolica di Milano e coordinatore scientifico dell’Osservatorio Giovani.

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